(foto LaPresse)

Non andrà tutto bene

Chicco Testa

Abbiamo costruito una repubblica fondata sulla diffidenza e per capirlo basta leggere alcune circolari Inail

Lo sapevate che se state facendo “lavoro agile”, come lo chiama la burocrazia italiana, dovete prima leggere e firmare una circolare dell’Inail che in merito scrive cose a dir poco esilaranti? Se lavorate all’aperto vi sconsiglia di frequentare luoghi privi di acqua potabile (!) o dove ci siano animali incustoditi; se in luoghi chiusi evitare di esporsi a “correnti d’aria fastidiose”, evitare temperature troppo alte o troppo basse, “tenere gli avambracci appoggiati sul piano e non tenuti sospesi” ecc. ecc. Non manca ovviamente la raccomandazione a controllare di avere servizi igienici disponibili. Follie o meglio consigli per bambini cretini.

 

Per ripartire, chiedono tutti, ci vuole meno burocrazia. Ma il nemico non è la burocrazia; e nemmeno i burocrati. Questi ultimi casomai amplificano e resistono prima di mettere la famosa firma che autorizza. Un po' per marcare il loro ruolo, un po’ per essere sicuri che nessuna magistratura (ce ne sono diverse, compresa la Corte dei conti che si rivale sul patrimonio personale di chi sbaglia, e questo è già una mostruosità) si faccia viva. Il nemico è invece la spaventosa proliferazione di norme, spalmate su un’infinità di soggetti di cui il Parlamento è solo l’apice e nemmeno il più prolifico.

 

Leggi, decreti, regolamenti tecnici: dalla presidenza del Consiglio fino ai Vigili del fuoco cataste di pandette si riversano su cittadini, famiglie, aziende a prescindere dalle loro dimensioni e dalle loro capacità. Ormai anche nella più minuscola azienda familiare almeno un terzo del tempo se ne va per compilare gli obblighi amministrativi e fiscali che si aggiungono anno su anno. Basti vedere come abbiamo affrontato l’emergenza coronavirus. Sergio Rizzo su Repubblica ha contato 160 atti amministrativi in 100 giorni, 1,6 provvedimenti al giorno. Nardella, sindaco di Firenze, ne ha contati circa altri 300 delle regioni. Abbiamo letto disposizioni su chi e come può fare il bagno al mare, su in quanti si possa andare in motocicletta, se si possa correre con o senza mascherina. Cittadini trattati come bambini da parte di uno stato onnipresente e invasivo. Ma comincio a domandarmi se questo non sia il tipo di rapporto fra stato e cittadini, fra norma e comportamenti che alla fine tutti desideriamo. Magari per poi contestarlo, discutere, ricorrere al Tar o al giudice di pace, ma mai assumendosi la responsabilità di decidere secondo buon senso.

 

Come mettere i francobolli alle mail. In questi giorni milioni di lavoratori, dipendenti pubblici in primo luogo, lavorano da casa. L’altro giorno un sindacalista importante ha detto a un giornale: “Sia chiaro che se in smart working mi alzo dalla scrivania e sbatto la testa nello spigolo della libreria è un incidente sul lavoro e va coinvolto l’Inps”. Smart working? Se smart working significa flessibilità, orari non rigidi, luoghi a scelta come faccio a usare le stesse categorie del lavoro ordinario? Cioè lavori da casa, ma con le stesse modalità di un posto di lavoro in ufficio. Che è più o meno come cercare di mettere i francobolli alle mail. O mettere un motore a scoppio su una carrozza per cavalli. E infatti è partita una discussione senza fine e tipicamente italiana, circolari Inail comprese. Non solo se ti fai male, magari ti scotti con la macchinetta del caffè, e anche questo deve essere considerato un incidente sul lavoro, ma poi c’è il problema della sedia che non è ergonomica, della luce che forse è inadatta, dei buoni pasto , che sarebbero sostitutivi della mensa, ma se mangi a casa cosa succede, visto che ormai tutti sanno che i buoni pasto sono diventati parte integrante del salario, dei consumi elettrici e del riscaldamento che paga il dipendente e che risparmia il datore di lavoro, e dell’aria condizionata che a casa non c’è.

 

Portando al limite, ma mica tanto, il ragionamento, il datore di lavoro, in questo caso lo stato, dovrebbe adottare in milioni di case di dipendenti le stesse procedure adottate nei luoghi di lavoro tradizionali. Decidere l’arredamento, l’illuminazione, assicurarsi che la cucina sia a norma, l’ascensore sia ok e che le scale non siano scivolose. Esagero? No, si sta preparando un gigantesco contenzioso e lo spreco di un’altra occasione per responsabilizzare aziende pubbliche e private e lavoratori. Che potrebbero tranquillamente regolare fra di loro queste cose con guadagni per entrambi. Ma in questo modo il dipendente diventerebbe un collaboratore dotato di autonomia e questo le burocrazie, comprese quelle di buona parte dei sindacati, non lo vogliono.

 

In tutti questo, dal coronavirus al telelavoro, nella abnorme proliferazione di disposizioni di ogni genere è completamente assente l’autonomia, la responsabilità, la capacità di giudizio del singolo soggetto. Ivi compresa la capacità di assumersi i rischi che la vita ordinaria comporta. Se ci alziamo dalla sedia e picchiamo la testa nella libreria per prima cosa pensiamo all’Inail. Vogliamo protezione contro ogni rischio e lo stato ci ripaga dicendoci a quanti metri da casa possiamo spingerci. Abbiamo costruito una repubblica fondata sulla diffidenza. Fra lo stato e i cittadini, fra i diversi pezzi dello stato, fra i dipendenti e i datori di lavoro e fra i cittadini fra di loro. Andrà tutto bene? Ne dubito.

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