Una donna, con la mascherina, dipinge all'aria aperta in Piazza San Marco a Venezia (foto Claudio Furlan/LaPresse)

Il nostro virus quotidiano

Antonio Pascale

Dubbi e nuove ansie, paure da affrontare o da prendere con filosofia. Lo sguardo appeso ai talk-show e ai tweet degli esperti. Le chiacchiere da bar e il ricordo dei libri letti. Come ci ha cambiato la vita il Covid-19, anche lontano dalla “zona rossa”. Una cronaca familiare

Sebbene questa storia del coronavirus sia iniziata tempo fa, io, colpevolmente, ne ho avuto concreto sentore solo sabato 22 febbraio. Per non farvi perdere tempo a indovinare il tema di questo articolo, vi dico subito che sono diventato una persona spregevole, che chiunque può mettere all’indice e disprezzare, e giustamente. Tanto contraddittoria. Cioè, o eccessivamente razionale o stupidamente irrazionale. Colpevole dunque di allarmismo, procurato panico, o al contrario placidamente distante da tutto questo bailamme, uno che sbadigliava all’ennesima dichiarazione di Burioni, e tuttavia tentato di apparire in diretta Facebook per parlare del coronavirus, avendo ai tempi di agraria fatto un modesto esame di virologia (26/30 mi pare), quindi nemmeno il classico virologo della domenica stigmatizzato dal prof di cui sopra, ma peggio. Appunto non c’è limite al peggio. E dài, vediamo il trailer della mia contraddizione nella mia peggior settimana del mese. Ho incontrato due persone per strada, mamma e figlia con mascherina, e ho fatto loro “buu!”, come un cretino. Si sono spaventate, e subito dopo ho rovistato nei cassetti perché mi sono detto: sono entrato in parecchi laboratori e ci dovrebbe essere… ah eccola, una mascherina vera, con 10 filtri. Non quelle inutili che distribuiscono. E per restare in topic #seiilpeggio, in questa settimana ho detto: i soldi non sono tutto, prima la salute, e poi dopo che mi hanno annullato tre conferenze, discretamente pagate, ho maledetto l’indicibile, pure certi virologi della domenica e no, che allarmano tutti.

  

Le mie contraddizioni: mi sento colpevole di allarmismo e un minuto dopo distante da tutto questo bailamme

Dunque, se c’è un’utilità in questo racconto non si individua nel tema: come combattere razionalmente il coronavirus. No, tutt’altro. Questo racconto se avrà una qualche utilità, appunto, servirà agli scienziati della comunicazione (cioè quelli che hanno studiato scienza della comunicazione, perché sì, senza fare gli spiritosi, ci sono lauree in Scienza della comunicazione, per esempio Maurizio Costanzo nell’anno accademico 2008-2009 ha insegnato alla Sapienza Teoria e applicazioni del linguaggio televisivo e ha condotto un Laboratorio sui formati e i generi televisivi ), servirà ai direttori di agenzie di comunicazione, piccole e grandi, ai media (ma non credo abbiamo tempo per leggere un long format del Foglio, di lunedì poi), agli psicologi cognitivi… Insomma, consideratemi un prisma ordinario, comune e medio, che prende luce, la scompone e la riflette al peggio possibile, perché sì, di questo si tratta: da sabato 22 febbraio sono un caso patologico. Questo testo, dunque, è per la scienza. Spero che mi studino a dovere e mi mettano, dopo un tampone intellettuale, in quarantena, per eccesso di contraddizioni, stereotipi di genere (stavo quasi per scrivere che le donne sono più preoccupate degli uomini, non l’ho fatto, ma l’ho pensato, pensarlo è già peccato secondo i puristi e comunque privatamente mi è scappato). Anche i criminologi potranno trovare utile il mio prisma, in quanto più volte, estenuato da talk-show infiniti o semplicemente perché non riuscivo a trovare un articolo sul pareggio tra Napoli e Barcellona, relegato in fondo, in quei box ultimi e poco visitati, ho sentito una voce interiore che mi diceva: fai a botte con questo o quel giornalista, sfidalo a duello all’alba, come ai vecchi tempi, perché non si può parlare di questa cosa in questo modo, salvo poi parlarne anch’io, in un modo ben peggiore. Capite che guaio?

  


Via Paolo Sarpi, la chinatown milanese, durante l'emergenza coronavirus (foto Claudio Furlan/LaPresse)


   

Mi sono chiesto cosa ci faremo qui fra vent’anni, 10 miliardi di persone ad accapigliarci per piccole e grandi questioni

Tra l’altro ho cominciato anche a leggere con seria determinazione tutti i testi dei pessimisti radicali, a partire da Peter Zapffe, L’ultimo messia, pubblicato nel 1930, a Thomas Ligotti, Nato nella paura, fino a Nicholas P. Money, La scimmia egoista. Perché l’essere umano deve estinguersi. E sì, in questa settimana mi sono chiesto, con la dovuta serietà, che ci facciamo qui, e cosa ci faremo fra vent’anni, 10 miliardi di persone ad accapigliarci per piccole e grandi questioni, con un apparato emotivo incapace di cogliere la complessità ecc. Quindi se è così per il coronavirus come possiamo farcela per altre e ben più letali questioni? Non è meglio lasciare con la dovuta grazia questo pianeta e tornare nel limbo dell’inorganico? Della non esistenza?

  

Comunque, colpevolmente, sono arrivato a sabato 22 febbraio, senza ansie e con sofferenze minime, finché sabato sera, in una pizzeria, con amici, alle ore 20, ho dato un’occhiata al tg di Mentana. Le immagini scorrevano senza audio e va bene, sarà la concitazione, gli inviati che apparivano e scomparivano, quel misto tra luce e buio, flash e contro flash, ma mentre mangiavo la pizza ho pensato e ho detto anche: ma che è? C’è stato un attentato? Ho avuto un fenomenale flash back e sono tornato indietro, al pomeriggio dell’11 settembre del 2001. Un attentato? ho chiesto. E poi, incredibile a dirsi, e ripeto, scorrevano le immagine senza l’audio, ho avuto un’allucinazione sonora. Era la prima volta che mi capitava: ho sentito la voce allarmata di Mentana. Ma non poteva essere, tra l’altro la pizzeria era una pizzeria, appunto, rumorosa e caciarona, e tuttavia la mia allucinazione ha isolato il contesto meglio di un banco mixer e mi ha fatto sentire la voce di Mentana. Enrico Mentana mi parlava pur non parlandomi.

  


Per un contenimento della paura. Le precauzioni (eccessive) di una figlia, gli stratagemmi che ci insegnano per sopravvivere all’orrore. L’isolamento e le distrazioni, anche se il raffreddore e l’influenza non sono più soli


  

E dire che non so leggere le labbra. In letteratura esempi simili non mancano, e PubMed ne suggerisce alcuni, ma basta citare quello che accadde una mattina nel IV secolo prima di Cristo, tra Socrate e Protagora. Nel dialogo, il Protagora, appunto, Socrate dopo aver ascoltato l’arte oratoria di Protagora commenta: aveva finito di parlare ma era come se parlasse ancora. Cioè Socrate lamentava con la sua sottile ironia il tasso di emotività che Protagora gli procurava, da sofista qual era. Infatti gli propone, per continuare il discorso al meglio, un metodo: frasi brevi e concise. Altrimenti io mi emoziono ma non penso. La famosa misura, la techne dei tempi di Platone. E’ tutto lì. La nostra felicità a venire si basa sulle buone deliberazioni, altro che chiacchiere e libri di autostima tanto di moda e motivatori aziendali e influencer. Se vuoi essere felice devi fare buone scelte. Per niente facile, può volerci una vita, magari sei felice solo sul punto di morte, e sarebbe una gran bella cosa, ma l’importante è il metodo. Altrimenti ci sono le allucinazioni sonore.

 

Ai tempi della mia ultima influenza, Alfonso Berardinelli mi scrisse un messaggio: goditi l’influenza, a me non viene più, forse perché vivo da solo. Trovai questo suo messaggio quasi una poesia da imparare a memoria o usare quando vogliamo parlare della natura umana così bisognosa di accudimento

Ecco, ho capito cosa voleva dire Socrate. La diretta infinita di Mentana, la concitazione, alcune dichiarazioni che ha fatto: noi giornalisti sfidiamo il pericolo, è il nostro mestiere, ecco mi hanno provocato una sottile ansia. Che ho combattuto. Anche il giorno dopo, domenica. Come l’ho combattuta? Chiaro, mi sono letto report affidabili per capire di che parliamo quando parliamo di coronavirus. Il mio epidemiologo di riferimento è Marc Lipsitch che spesso su Twitter riporta interessanti studi, e insomma intervistato dall’Altlantic era molto chiaro: il virus è incontenibile. Il prossimo anno, circa il 40-70 per cento delle persone in tutto il mondo sarà infetto dal Covid-19. Attenzione, diceva con serietà: non significa che tutti avranno gravi malattie, anzi è probabile che molti avranno una malattia lieve o potrebbero essere asintomatici. Dunque, è come con l’influenza, spesso è pericolosa per la vita, o almeno per le persone con patologie croniche e in età avanzata, eppure la maggior parte dei casi passa senza cure mediche. Una meta analisi con revisione sistematica degli studi medici del 2015 stimava che il 14 per cento delle persone con influenza non ha sintomi. Infatti, io credo di essere tra questi (dieci anni fa, ai tempi della mia ultima influenza, il critico Alfonso Berardinelli mi scrisse un messaggio: goditi l’influenza, a me non viene più, forse perché vivo da solo. Trovai questo suo messaggio quasi una poesia da imparare a memoria o usare quando vogliamo parlare della natura umana così bisognosa di accudimento e nello stesso tempo capace di adattarsi alla cangianti condizioni e sfortunate contingenze della vita). Lipsitch è in buona compagnia, il suo è un punto di vista condiviso da molti: insomma il virus continuerà a diffondersi ampiamente. Quindi? Conclusione? Il risultato più probabile di questi focolai sarà una nuova malattia stagionale, un quinto coronavirus endemico. Per gli altri quattro non sviluppiamo un’immunità di lunga durata. Se questo segue l’esempio, e se la malattia manterrà questo livello di letalità la stagione del raffreddore e dell’influenza diventerà la stagione del raffreddore, dell’influenza e del Covid-19. Nella speranza che si trovi un vaccino.

  

Diamo i numeri


19
Il numero nel nome attribuito alla malattia provocata dal nuovo coronavirus: Covid-19. Indica l’anno in cui si è manifestata. “Co” sta per corona, “vi” per virus, “d” per disease. Il nome è stato annunciato l’11 febbraio 2020 nel briefing con la stampa durante una pausa del Forum straordinario dedicato al virus, dal direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus.

1.049
Le persone che hanno contratto il virus in Italia: in 13 regioni e in una provincia autonoma (fonte dipartimento della Protezione civile, ministero della Salute, Regioni - Tutti i dati italiani qui riportati sono aggiornati alle 18 di sabato 29 febbraio).

29
Le persone decedute in Italia a causa del coronavirus.

50
Le persone che hanno contratto il virus e sono guarite.

615
I casi accertati di coronavirus in Lombardia, la regione più colpita. Seguono Emilia-Romagna con 217 casi, Veneto (191), Liguria (42), Campania (13), Piemonte, Toscana e Marche (11 ciascuna), Lazio (6), Sicilia (4), Puglia (3), Abruzzo (2), Calabria e provincia autonoma di Bolzano (1).

5.723
I tamponi eseguiti in Lombardia, che registra 552 positivi, 40 dimessi e 23 deceduti (“tutte persone anziane e con patologie”, ha detto sabato l’assessore al Welfare della Regione Lombardia, Giulio Gallera). La regione che ha effettuato più tamponi è il Veneto (8.659) che ha registrato 189 positivi e due deceduti.

543
Le persone, tra quante hanno contratto il virus, che si trovano in isolamento domiciliare, il 52 per cento. I ricoverati con sintomi sono 401, il 38 per cento. I pazienti in terapia intensiva 105, il 10 per cento.

30-1-2020
Il giorno in cui sono stati confermati i primi due casi di Coronavirus in Italia, una coppia di turisti cinesi ricoverati in isolamento dal giorno prima all’Istituto Spallanzani di Roma. Il 26 febbraio sono stati dichiarati guariti.

18-2-2020
Il giorno in cui è stato scoperto il primo caso di trasmissione secondaria in Italia: a Codogno, in provincia di Lodi.

9-27 miliardi
In euro, la forchetta della perdita di pil italiano stimata dal centro studi Ref Ricerche come conseguenza dell’emergenza coronavirus. In termini percentuali si tratta di una diminuzione compresa tra -1 per cento e -3 per cento nel primo e secondo trimestre 2020. Lombardia e Veneto, le regioni più interessate, spiega Ref, contano per il 31 per cento del pil italiano.

310 miliardi
In euro, il valore di capitalizzazione perso dai mercati azionari europei venerdì scorso. L’indice Euro Stoxx 600, che raggruppa i principali titoli quotati sulle Borse del Vecchio continente, è sceso del 3,5 per cento. In linea Milano, dove l’indice Ftse All share ha registrato un calo del 3,4 per cento.

12 per cento
Il crollo dell’indice Dow Jones a Wall Street la scorsa settimana, la peggiore dalla crisi del 2008. L’indice S&P500, quello delle 500 società a maggiore capitalizzazione, ha perso l’11,5 per cento, l’indice dei titoli tecnologici Nasdaq il 10,5.

68
Le persone contagiate negli Stati Uniti. Sabato scorso la prima vittima: una persona nella contea di King, vicino a Seattle, nello stato di Washington.

2.835
Le vittime del coronavirus in Cina (a sabato 29 febbraio). Sono 427 i nuovi casi registrati sempre sabato scorso, in aumento rispetto ai 327 di venerdì. Il numero totale dei contagi è salito a 79.251.

3.150
I contagi totali nella Corea del sud, di cui 17 morti, secondo i dati del Korea Center for Disease Control and Prevention.

   

Ecco, questo è un esempio di metodo socratico, mi sono detto e va bene. Tuttavia non so perché non sono sceso al bar a prendermi il caffè, sentivo voglia di divano e di casa, nemmeno sono uscito sul balcone, e dire che ho due piante che mostrano segni di malattia, probabilmente eccesso d’acqua. Come le piante, pure io mi sentivo vittima di un eccesso. Non di acqua, ma di informazioni ad alto tasso di emotività, ma non sapevo dire, e per questo mi ripetevo come un mantra razionale: è solo una brutta influenza, è solo una brutta influenza, non c’è ragione di cadere nel panico. Poi hanno bloccato tre partite. E no, mi sono detto, e mò che faccio a casa tutto il giorno? Mi riposo, va. Anche perché lunedì avevo preso un giorno di ferie, dovevo andare a Riccagioia, per una conferenza. Non molto distante dalla “zona rossa”, ma vabbè dài… E invece mia figlia, che in genere è convinta che sto dormendo da due giorni mentre sono a Palermo, mi chiede: che devi fare domani? A domanda rispondo. E succede un casino. Prima di tutto: sei irresponsabile, perché vai in una zona dove il focolaio è vivo (e qui ho pensato, vedi, le donne sono più preoccupate dei maschi, sarà una caratteristica di genere, e mi sono detto: oh, questa cosa non la dirai mai in pubblico, giura!), poi non hai rispetto per me. Per quale motivo scusa? Lo conosci Marc Lipsitch? ho chiesto. Perché lui, epidemiologo di fama, che spesso sta su Twitter e mi piace il modo suo di stare su Twitter, è molto concentrato sul suo lavoro e posta studi interessanti… E Marianna ha risposto: senti, io ho l’esame di filosofia moderna, e tu non hai idea di com’è la professoressa. Ha una voce che non si può sentire, tu non hai idea di che cosa significa fare filosofia moderna con una con quella voce, che già filosofia moderna è quello che è, insomma non posso ammalarmi, neanche di raffreddore, quindi tu a Riccagioia non ci vai.

 

Mi sentivo vittima di un eccesso, di informazioni ad alto tasso di emotività, ma non sapevo dire, e per questo mi ripetevo come un mantra razionale: è solo una brutta influenza, non c’è ragione di cadere nel panico. Poi hanno bloccato tre partite. E no, mi sono detto, e adesso che faccio a casa tutto il giorno?

Stavo quasi per dirle in tono imperioso: gli uomini devono fare gli uomini, essere coraggiosi e non femminucce impaurite, ma naturalmente mica l’ho detto. Non solo studia filosofia, ma segue tutte le tematiche femministe, quindi le ho ricordato Socrate e Protagora: la necessità, alla base di tutto il pensiero filosofico (le ho detto, per fare il buffone, che tutta la filosofia è una nota a margine del pensiero di Platone) della misura e della ragione, e lei (dopo aver commentato: ecco un caso da manuale di mansplaining) mi ha risposto: dopo filosofia moderna devo fare questo, vedi? E mi ha mostrato Essere e tempo di Martin Heidegger. Nooo – ho detto – ma che, lo fanno ancora studiare? E lei ha detto: tu non hai idea di cosa sia questo libro, non si capisce niente e ho un professore che quando parla non si capisce niente, vedi questi appunti? Sono geroglifici, devo essere lucida, nemmeno il raffreddore… Quindi tu non ci vai. Sennò, quando torni vai direttamente a Bocca della Selva (località sperduta sul Matese, dove da cinquant’anni abbiamo una casa condominiale in mezzo ai faggi, con problemi vari, ma vabbè) senza passare nemmeno per Caserta, altrimenti finisce che infetti i nonni, a proposito li hai sentiti? A quel punto ve lo giuro, visto che la mia autorità paterna veniva contestata, ho pensato, ma sì, ora le dico che per questioni di genere, le femmine sono più spaventate dei maschi, quando ha squillato il cellulare e un maschio mi ha annunciato che l’evento di Riccagioia era stato annullato e non solo quello, pure altri due, uno si teneva ai primi di aprile, quindi possibile che già a metà febbraio si sta pensando ad aprile? Se non è panico questo. E adesso, il Salone del libro di Torino? Mica salta. Ho pensato di chiamare Lagioia ma poi non l’ho fatto perché mia figlia mi ha chiesto soldi per andare a mangiare una pizza con un’amica, che dopo filosofia moderna e Martin Heidegger soprattutto, una birra ci vuole. E io ho dato a mia figlia soldi a sufficienza per un mese, perché, diciamo la verità, gli uomini devono essere generosi, alle donne piacciono i tipi generosi (e mai dirò questa cosa in giro).

 

  

Poi non so perché ho avuto un moto di veemente fastidio verso la coppia Fazio/Burioni che dallo studio, senza pubblico, di Che tempo che fa e con collegamenti con Antonio Di Bella (a proposito come sta il sindaco intervistato in diretta col raffreddore? Perché nessuno ha indagato?) che annunciava disastri e infezioni diffuse, spingevano – secondo me – la gente ad allarmarsi più del dovuto, non considerando il disastro economico a cui potevamo andare incontro se misure siffatte fossero state prolungate ed estese. E contemporaneamente pensavo come un mantra Riccagioia, Riccagioia, Riccagioia (tra l’altro la sede era un’eccellente azienda vinicola, ma vabbè, non ci voglio pensare). La mattina dopo sono andato in ufficio a piedi (perché fa bene camminare, no? Sei chilometri all’andata e sei al ritorno, e ho fatto la mia ginnastica, poi è bello passeggiare per Roma la mattina presto, non c’è nessuno e quindi incontro poche persone, e ho meno possibilità di contagio, mi sono detto, ma contemporaneamente ho giurato a me stesso che il motivo delle mie camminate mattutine – sì esco alle sei e arrivo in ufficio alle sette – era la forma fisica e non la paura del contagio). 

 


I bisticci tra virologi. La moglie del meccanico con la febbre. Il ricordo delle altre epidemie. Il flop della campagna vaccinale del 2010. E come è possibile che i media invece di dire tre cose nell’ordine giusto ne dicano cento contraddittorie? Gli errori e il pessimismo. “Poi ho visto un ciliegio già fiorito”


  

Il pomeriggio in ufficio, dopo aver letto una quantità dirompente di news e visto innumerevoli clips di sconti in tv e di bisticci tra virologi, ho incontrato Vale nei corridoi. Mi ha detto che si era comprata delle scarpe in sconto, molto belle, tanto che aveva subito avance da feticisti, e comunque aveva i freni allentati della moto, tanto che si era vista costretta a frenare con i piedi, il che era pericoloso, anche per le scarpe fetish appena acquistate. La mattina era andata dal meccanico, uno che apre intorno alle sei, e sta sotto casa sua, eppure quel giorno ha aperto alle sette. La moglie aveva la febbre. Lui, il meccanico, seguiva una scuola filosofica particolare, non so bene in ambito teoretico come definirla, ma insomma a Roma si può riassumere così: e mò avete rotto er cazzo! E prima si doveva morire di Sars poi di Mers, poi di Suina, per me so’ tutte stronzate, è una semplice febbre, però mia moglie non mi ha fatto dormire, le è venuta l’ansia, temeva il contagio e voleva fare il tampone, ma io le ho detto che era solo ‘na febbre. E Vale ha risposto: capisco, e tuttavia non gli lasciato la moto. Meglio frenare con i piedi, fino a data da definirsi. Ma vedi un po’, ho detto, ti rendi conto che rischi più a frenare con i piedi? Quindi ho citato gli studi e anche Marc Lipsitch che riferivano del tasso di velocità del contagio e lei mi ha risposto: conosco Lipsitch, è molto attivo su Twitter (veramente lo conosci? ho chiesto). E mi ha citato altri studi, e mi ha fatto presente che il problema non è la letalità in sé, ma la velocità di diffusione: se tutti si ammalano, poi è un danno per il pil: già qua nessuno fa niente.

 

  

Sono entrato nel supermercato: è stato strano, era come se fossi entrato in un posto abituale e nello stesso tempo sembrava di trovarsi sulla Luna. Il supermercato era vuoto. Non di persone, ma di prodotti: tutti gli scaffali vuoti. Non ci credo, mi sono detto, non ci credo. Ma dove siamo, ma come siamo arrivati a questo punto?

Siccome ero scettico, Vale ha detto sì, ok, diciamo che non è la peste, ma una febbre che in alcuni casi può diventare seria, ma tu ti ricordi le altre pandemie? Tutte hanno causato problemi più o meno seri, dipende dalle classe di età colpite, dipende da quanto è stimato l’ R(0) (naturalmente ho annuito con la testa, e ho detto certo certo, ma fino a mercoledì 26 febbraio, data in cui lo scrittore Paolo Giordano ha scritto un articolo sul Corriere della Sera per spiegare cosa mai fosse R(0) e cioè il numero atteso di nuove infezioni generate da un singolo individuo infetto nel corso del suo intero periodo di infettività, in una popolazione interamente suscettibile). E insomma, Vale si è messa a elencare alcune pandemie, chiedendomi in maniera retorica, ti ricordi, sì? (pensavo se erano considerati casi di womansplaining, ma mica gliel’ho detto) A partire dall’A(H2N2) del 1957-58, che colpiva soprattutto i bambini, l’A(H3N3) del ‘68-69, che si diffondeva invece fra tutte le classe sociali, e comunque circa 34.000 decessi in Usa e circa 1‐2 milioni di decessi nel mondo (ma veramente? ho detto), ma poi ti ricordi quella Messicana del 2010? A/H1N1. Certo – ho risposto – naturalmente non mi ricordavo, e non so se è una questione legata al genere, cioè le donne ricordano meglio sigle influenzali e numeri di decessi perché sono più spaventate o io, come è probabile, a 54 anni, ricordo a malapena quale nome ho.

 

Quella pandemia – ha continuato Vale – cominciò a Città del Messico e siccome R(0) era 1,58, si diffuse molto velocemente. Si mise in atto una campagna vaccinale perché si stimava che molte persone si sarebbero ammalate e dunque assentate dal lavoro e c’erano scenari inquietanti di riduzione del pil. Eppure per colpa della cattiva comunicazione (la comunicazione fa tantissimo – ha ribadito Vale – e dovremmo pensare a una buona scuola di comunicazione, del resto l’Italia è in prima linea, abbiamo Scienze della comunicazione, c’è stato anche Costanzo alla Sapienza)… all’epoca c’era Ferruccio Fazio alla Sanità (chi?) il quale sostenne la necessità di chiudere anticipatamente la scuola, molto prima del periodo natalizio, perché il principale veicolo di contagio erano i bambini, e in tutta risposta Brunetta e Gelmini (chi?) dissero che la decisione andava presa collegialmente e non da un singolo ministro. Risultato? La campagna vaccinale fu un flop, tipo che – se non ricordo male – al 15 novembre 2010 solo l’11,9 per cento del personale sanitario risultava vaccinato, e dire che erano in cima alla scala della priorità. E alla fine, tra dichiarazioni di Fazio blande (è solo una lieve influenza) e conteggi sbagliati abbiamo perso vite e soldi, capisci bene che non mi voglio ammalare, perché qui già nessuno fa niente, tanto meno i comunicatori che stanno sbagliando tutto, si fissano sulla mascherina e non pensano all’essenziale, ma poi capisci che bisogna essere risoluti in questo paese? Dire tre cose e nell’ordine giusto, invece, al contrario, i media dicono 100 cose contraddittorie (e lì ho rivisto Burioni in una nuova luce, con l’aureola dei santi, poi mi è passata quando ha detto la signora del Sacco e va bene, poi si è scusato e mi è apparso di nuovo con aureola, capite perché sono un caso patologico, sì?).

 

Ti rendi conto della polemica tra alcuni giornalisti e Facebook? Quello è un termometro della confusione in cui siamo, febbre a 41, guarda. Cioè, uno dice: non avete idea di come sono fatti i giornali perché vi informate su Facebook, le notizie arrivano minuto dopo minuto, noi stiamo qui a sgobbare 14 ore al giorno e voi giudicate. Qui che si può dire? (e che si può dire? ho chiesto anch’io). Si può dire ok, io il profilo Facebook l’ho pure chiuso e i giornali li compro ancora, la mia scrivania è piena di giornali, quindi posso dire ok, durante questo tempo che passi in redazione che ne è del giornalismo analitico, del data journalism, del pensiero critico?

 

Poi Vale se n’è andata perché lei si occupa di comunicazione e aveva riunioni varie e in effetti aveva belle scarpe, certo un po’ consumate, forse per le frenate. Quando sono sceso per tornare a casa (per i sei chilometri di ritorno) avevo tutti i dati di Vale in testa e googlavo in continuazione e ho visto due persone con la mascherina, madre e figlia e ho fatto: “Buu!”. E quelle sono saltate, e mi sono sentito fico e maschio e cattivo, risoluto, ma a che servono le mascherine? Lo stanno dicendo in tanti, e come è possibile che i media invece di dire tre cose nell’ordine giusto ne dicano 100 contraddittorie?

  

 

Dopo sei chilometri dopo sono entrato nel supermercato (faccio la spesa e la porto a piedi, senza prendere la macchina, un modo per fare ginnastica vera e non quei circuiti da femminucce) e vi dico: è stato strano, era come se fossi entrato in un posto abituale e nello stesso tempo sembrava di trovarsi sulla Luna. Cioè il supermercato non era il solito supermercato. Era vuoto. Non di persone, ma di prodotti: tutti gli scaffali vuoti. Non ci credo, mi sono detto, non ci credo. Ma dove siamo, ma come siamo arrivati a questo punto? Ho fatto spesa, maledicendo i media, giurando che prima o poi avrei lanciato un guanto di sfida a virologi, giornalisti, presidenti di regione, politici ecc., e soprattutto mi sarei studiato l’R(0) di tutte le pandemie, confrontato i dati, perché non volevo né sovrastimare né sottostimare, né allarmare e né tranquillizzare, né e né si diceva una volta, certo per altri tristissimi motivi: necessitavo di techne, Socrate non Protagora. E tuttavia mi sentivo confuso e parecchio nervoso. La confusione è aumentata e si è trasformata in rimbambimento quando, a casa, mi sono reso conto che, non so perché, avevo comprato il triplo delle cose, cioè tre passate di pomodoro, molti chili di pasta ecc. Da quel momento il panico è partito, mi sono messo a frugare nei cassetti e ho trovato una mascherina fantastica, che presi anni fa nei laboratori inglesi della Syngenta, roba chimica seria lì, e questa sì che funziona, magari la do a mia figlia prima di affrontare Martin Heidegger (che non capisco perché si studia ancora e mi è venuto in mente di scrivere un saggio sul contagio che certi intellettuali hanno per i suoi testi criptici e il coronavirus che confonde idee e genera panico, ma poi ho lasciato perdere perché giocava il Napoli).

  

Poi mercoledì mattina i media si sono sintonizzati su un altro umore: abbassiamo i toni. Si saranno fatti i conti pure loro, ognuno ha la sua Riccagioia da conservare, e la salute è fondamentale e i soldi aiutano la salute. E quindi, siamo passati da mezza Italia in quarantena a va bene dài, ripartiamo. Li ho visti tutti i giornali, perché cercavo un articolo su Napoli-Barcellona e niente, ho dovuto scavare a fondo prima di trovarlo, tutte le pagine erano occupate dal virus e naturalmente era come assistere al teatro dell’assurdo: penso che i fautori del teatro dell’assurdo, e sono tra questi, dovrebbero mettere in scena alcuni titoli dei giornali e discussioni sui media, si otterrebbe un effetto di straniamento di brechtiana memoria.

  

Uno diceva non gridate e però lui stesso gridava. Un altro che ha sempre gridato ora stava in mezzo alla gente e baciava tutti, poi però attaccava i migranti. Tranquillizzatevi, non c’è pericolo e poi si parlava solo di morti, ambulanze, rianimazioni. Per tentare di reagire sono sceso al bar, mi sono detto faccio il maschio e non la femminuccia, mi butto nel contagio, affronto i rischi. Al bar uno ha detto: ma guarda, si è capito che è un banale raffreddore (volevo dirgli, no, aspetta, non è così, non sottostimare né… ma poi mi sono bevuto il caffè), il problema ha detto, so’ gli astronauti, Qui, capite bene, il clima è cambiato, che c’entrano gli astronauti? Cioè, ha spiegato lui, tengo un amico di Ferrara, uno che si caca sotto per tutto, ma veramente, insomma questo è passato vicino alla “zona rossa”, poi è tornato a casa e gli è venuto il panico. Già si caca sotto per niente, pensate ora che tutti giravano con la mascherina. Si è attaccato al 118, diceva che aveva le placche alla gola, e chiamava chiamava, e niente, non rispondevano e allora si è imbacuccato, si è messo in macchina e si è avviato all’ospedale. Là nemmeno l’hanno fatto entrare: perché dobbiamo fare ‘sto tampone? Ma lui – ve l’ho detto – è ansioso, si è messo a tremare e i medici impietositi hanno detto: e facciamo il tampone. Vabbè, i risultati a dopo, ora vai a casa, tranquillo, abbassiamo i toni, ripartiamo, e riapriamo Milano. Oh, alle cinque di mattina hanno bussato gli astronauti. Gli astronauti (ascoltavo con interesse esponenziale)? Eh sì, tre tizi vestiti con tute protettive che nemmeno su Plutone. Positivo al test. Quello, il mio amico, già normalmente si caca sotto, pensate se lo vengono a prendere gli alieni. Invece della barella c’era un sarcofago di plastica. Si è dovuto mettere dentro, e quello già è ansioso, è finito prima al pronto soccorso per collasso. E alla fine che è successo? Hanno rifatto il test: stava benissimo, un falso positivo. Mò secondo voi, se quello non fosse stato ansioso, a quest’ora si stava facendo una passeggiata al bar, si prendeva un caffè, quattro chiacchiere, c’ha pure un’età. Cioè essere rapito dagli alieni è una cosa che non ti scordi mai. Il panico si alza, le difese immunitarie si abbassano e ti prendi tutte le malattie, altro che coronavirus.

  

  

Nel pomeriggio di giovedì, a parte che a causa delle passeggiate di 12 chilometri, tutto imbacuccato, ho sudato, poi ho preso vento e mi era venuto raffreddore, a parte che nel bar ho starnutito, e prima è calato il gelo, poi il barista ha detto: mò chiamiamo gli astronauti. Quindi in un attimo ero passato da quello che sfotteva i contagiati a untore, e mica solo io, gli italiani da che sfottevano i cinesi ora venivano messi in quarantena (è sempre così, un attimo e passi da cacciatore di untori a untore. Ma non impari mai, anzi insisti nel condannare il prossimo pur di non guardarti allo specchio, perciò non ce la possiamo fare, fra poco saremo 10 miliardi e che facciamo? Ci accusiamo l’uno con l’altro, come scimmie egoiste, appunto). A parte questo, giovedì mattina c’è stato il primo caso a Caserta. Mia figlia mi ha detto, hai sentito i nonni? Dopo li chiamo. Perché dopo? Chiama ora. No, perché nonno a quest’ora fa la passeggiata, quattro chilometri. Ha 84 anni e si tiene in forma. Va bene – ha detto Marianna – però digli che non deve uscire, c’è stato contagio a Caserta e insomma devo fare Martin Heidegger ecc. L’ho chiamato e gli ho detto: ma stai uscendo? E mi ha risposto, certo che sì, che devo fare a casa? Che mi devo vedere Barbara D’Urso? Mi prendo mamma sotto braccio e camminiamo un po’. Va bene – ho risposto – però c’è il coronavirus. E mio padre mi ha detto: ma secondo te, dobbiamo aggiungere anni alla vita o vita agli anni? Platone? Heidegger? ho chiesto. Semplice considerazione – ha risposto mio padre. Comunque quando torni a Caserta, ti devo far vedere tutte le carte, le ho sistemate, casomai ci facciamo la cartella (che è un modo di dire aggraziato napoletano, cioè ti prepari per morire). Abbiamo due loculi, lo sai? Uno per te, lo sai, sì? Va bene – ho annuito – intanto non uscire e fa un po’ di attenzione, Sì – mi ha detto – ci siamo vaccinati per l’influenza stagionale, prendiamo le pasticche per la pressione, cammino quattro chilometri al giorno, cerco di non vedermi troppo Barbara D’Urso, mangio frutta in quantità, nemmeno bevo più il bicchiere di vino, ci laviamo le mani spesso e stiamo a distanza di sicurezza sia con Peppe il verdummaro sia con il macellaio, che altro dobbiamo fa? Quindi non ti preoccupare.

  

Uno diceva non gridate e però lui stesso gridava. Un altro che ha sempre gridato ora stava in mezzo alla gente e baciava tutti, poi però attaccava i migranti. Tranquillizzatevi, non c’è pericolo e poi si parlava solo di morti, ambulanze, rianimazioni. Per tentare di reagire sono sceso al bar

Anch’io mi lavo spesso le mani. Ho imparato il metodo del chirurgo. Il problema è che durante la settimana ho spesso discusso con i miei figli. Pure loro si lavano spesso le mani, almeno un minuto di strofinamenti, però lasciano l’acqua aperta e non sopporto lo scorrere dell’acqua, a parte lo spreco, il rumore, mi infastidisce il rumore, poi abbiamo consumato litri di sapone, quindi inquinato il pianeta e se questa epidemia si trasforma in pandemia poi 8 miliardi di persone si laveranno le mani per un minuto, e non abbiamo acqua, per non parlare dei saponi, e che vi devo dire, mi sono messo a leggere tutti i pessimisti radicali e alcuni di loro ci vanno giù duri: Zapffe, l’autore de L’ultimo messia, sostiene che la coscienza è stato un madornale errore del cosmo, perché ci ha reso sensibili al dolore, all’angoscia e all’insensatezza del tutto, figuratevi al coronavirus. Ragione per cui la coscienza stessa per sopravvivere all’orrore ha creato degli stratagemmi, per esempio l’isolamento (nascondere i pensieri cupi), l’ancoraggio (cercare un senso nella famiglia, patria, valori della comunità), le distrazioni (stasera gioca il Napoli e me la voglio godere) oppure la sublimazione (trasformo l’angoscia in arte). Il tutto per non guardarci allo specchio, come davvero siamo, scimmie egoiste, appunto. La cosa particolare è che Zapffe è stato anche il padre di un certo ambientalismo, insomma quelle persone che considerano l’uomo un problema e non una risorsa. Per questo la nostra dipartita farebbe bene al creato. Siamo un problema – dice Money – nella Scimmia egoista. Per due motivi: ci crediamo speciali e quindi sentiamo in onore della presunta specialità di poter conquistare e distruggere ogni cosa e infine siamo voraci ed egoisti, in quanto umani, e cioè, il male è in noi. A questo punto i suddetti autori si chiedono ma perché continuare? Vista l’assurdità della vita, il dolore che procuriamo al prossimo, e considerata poi la presenza della morte, meglio non far figli e spegnersi: abolire la specie umana dal cosmo significa non discutere del coronavirus e mettere in sicurezza il cosmo.

  

Così incupito e riflessivo a causa del pessimismo, colpito dal primo caso di contagio a Caserta, e pure dalla notizia che posseggo un loculo, l’unica cosa di proprietà a quanto pare, confuso dalle notizie contraddittorie, incapace di misurare, anzi, con un sacco di errori alle spalle e solo nel giro di una settimana, venerdì sono andato a farmi una passeggiata, alle sei del mattino, per rilassarmi e sul Gianicolo ho visto un ciliegio decorativo già fiorito. Pochi fiori rosa che si stagliavano contro al luce dell’alba, con quelle sfumature meravigliose di colore. Era bellissimo. Forse i pessimisti non hanno del tutto torto: sì, siamo feriti quanto basta e la nostra natura umana è contraddittoria, violenta e fragile, ma quella stessa natura ci permette di osservare incantati questi pochi fiori che ogni primavera (un po’ anticipatamente, un po’ in ritardo a seconda dei casi) resistono all’inorganico e buttano polline contro l’alba che nasce: forse c’è una riflessione anche sul coronavirus che potrei fare per chiudere… ma forse no, va bene così.

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