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Anche i senzatetto prendono il virus ma il comune non se ne occupa

Massimo Solani

Gli ospizi sono pieni. Quindicimila persone vivono per strada o in baracche. Sindacati e volontari gli unici che le assistono

Roma. Più di ottomila persone invisibili che dormono in strada, non hanno accesso regolare a servizi igienici, non ricevono cure mediche adeguate e difficilmente riescono ad avere una alimentazione decente. Anziani, in gran parte, e con condizioni di salute molto spesso compromesse. Ottomila invisibili che diventano quindicimila circa se si contano anche coloro che vivono in baracche, roulotte e abitazioni fatiscenti o occupate in cui spesso non c’è acqua corrente o energia elettrica. Nei giorni della paura per il diffondersi del Covid-19 i più a rischio sono i più deboli e pochi sono più deboli di coloro che una casa per restarci non ce l’hanno. Roma, secondo i dati Istat, è dopo Milano la città in cui si concentra il maggior numero dei circa 51 mila senza tetto d’Italia, eppure in queste settimane, a eccezione delle associazioni di volontariato, nessuno è sembrato preoccuparsi di quella che è tutti gli effetti una emergenza nell’emergenza.

 

La settimana scorsa l’Assemblea Capitolina ha approvato due ordini del giorno per chiedere alla sindaca Raggi e alla sua giunta interventi per garantire la salute dei senza fissa dimora e dei volontari che si occupano di loro. Fra le misure chieste alla prima cittadina anche l’individuazione di strutture adatte a ospitare chi presenta i sintomi del coronavirus o deve stare in quarantena perché risultato positivo. Con la possibilità, prevista dai decreti della presidenza del Consiglio, persino di requisire strutture private. Anche perché, a oggi, di spazi non ce ne sono neanche per dare alloggio a una piccolissima parte di chi in strada c’è già.

 

L’amministrazione ha esteso da 15 a 24 ore l’apertura dei centri previsti dal Piano Freddo per permettere agli ospiti di restare al chiuso l’intera giornata, ma i circa 450 posti a disposizione non possono minimamente bastare. Così, di fatto, in tutti i centri sono stati bloccati i nuovi ingressi. “Di spazi a disposizione non ce ne sono e comunque non riusciremmo a gestire le procedure di accesso di nuovi ospiti in piena sicurezza”, spiega il portavoce della Caritas di Roma Colaiacono. “Stiamo vagliando con gli uffici ogni possibile soluzione per sostenere con ancora maggiore forza le persone più fragili sul nostro territorio, aumentando i posti dell’accoglienza e contenendo il più possibile gli spostamenti”, spiega l’assessora alla Persona, Scuola e Comunità Solidale di Roma Capitale Veronica Mammì. La situazione, però, è difficilissima. “Le problematiche di giorno in giorno diventano sempre più complesse – ha dichiarato don Benoni Ambarus, direttore della Caritas di Roma – Arrivano in strutture non idonee a garantire le distanze di sicurezza, non predisposte nemmeno per ospitare h24. Allora escono, ma in strada vengono fermati dalle forze dell’ordine”.

 

Quel che è certo è che, a oggi, nessuno sa ancora bene cosa potrebbe accadere se uno degli ospiti delle strutture dovesse risultare positivo o presentare i sintomi del coronavirus. Per questo lunedì sono stati i sindacati a prendere carta e penna per scrivere alla sindaca e denunciare che “anche su questa partita, il Comune di Roma è in colpevole e fortissimo ritardo”. “Riteniamo – hanno scritto la Cgil di Roma e Lazio, la Cisl di Roma Capitale Rieti e la Uil del Lazio – sia urgente la costituzione di una Cabina di regia, insieme ai sindacati alla rete del volontariato e associazioni, dedicata alla gestione dell’emergenza coronavirus per i senza fissa dimora, per il loro bene e quello di tutta la comunità”.

 

Nel frattempo nelle mense come negli ostelli si fa quel che si può. Ovunque i posti ai tavoli sono contingentati, dove è possibile si sono allestiti spazi all’aperto, mentre i volontari allungano i propri turni per far fronte alle file che le nuove misure creano.

 

A “Binario 95”, lo spazio di accoglienza alla Stazione Termini, si contingentano gli ingressi all’area docce per permettere una adeguata sanificazione mentre in gran parte dei centri sono state sospese la raccolta di indumenti usati. C’è poi il problema di come prendersi cura dei senza fissa dimora dimessi dagli ospedali. “La prassi dovrebbe essere la richiesta alla sala operativa sociale di una sistemazione della persona che viene dimessa in “modalità protetta”, ma ci rispondono che non c’è spazio”, spiega Angelo Romeo, presidente dell’Associazione Missione solidarietà. “Chiunque necessita di un periodo di riposo e di un pasto regolare – prosegue ciò non potrà accadere se queste persone finiscono nuovamente in strada”. Non c’è posto, non ce n’è praticamente per nessuno. Nemmeno per una famiglia ghanese nigeriana con tre figli fra i 3 e gli 8 anni che è rimasta in strada tre giorni e tre notti. “Abbiamo chiamato il Dipartimento sociale e tutte le istituzioni – raccontano i volontari del Baobab – ma senza risultati: nessuno è riuscito a trovare una soluzione abitativa temporanea. Per evitare che la famiglia continuasse a vivere e dormire per strada, abbiamo, infine, affittato un piccolo b&b”.

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