(foto LaPresse)

La farmaceutica laziale, una potenza che sperimenta gli antivirali

Gianluca Roselli

Il primo settore esportatore della regione lavora anche sul farmaco Rendesibir non ancora in commercio

Roma. Il Lazio potrebbe giocare un ruolo cruciale in questi mesi di emergenza virus. Sia sul fronte della ricerca del vaccino, sia in quello, nel frattempo, della sperimentazione di cure e farmaci efficaci contro il Covid-19. I numeri del settore farmaceutico del Lazio, del resto, rappresentano un trend in crescita da anni. Nel 2019 è stata la prima regione farmaceutica per export a livello europeo, con 12,4 miliardi di vendite all’estero, pari all’83 per cento dell’export hi-tech regionale, con una crescita del 54 per cento negli ultimi 5 anni. Il farmaceutico è il primo settore esportatore della regione con il 49 per cento del totale manifatturiero, specie nelle provincie di Latina (85 per cento), Rieti (70) e Frosinone (69). Con sessanta aziende è il secondo comparto in Italia dopo la Lombardia ed è nella top ten europea per numero di addetti, con 16.300 lavoratori diretti e 7.400 nell’indotto. Il triangolo d’oro è quello di Latina, Aprilia e Pomezia, ma un po’ tutta la regione è coinvolta, compresa la Capitale. Con un fatturato totale intorno ai 7 miliardi e mezzo di euro. E sul territorio hanno sedi e fabbriche le principali aziende italiane e straniere: da Angelini a Italfarmaco, da Janssen a Msd, da Novartis a Pfizer, e poi Takeda, Recordati, Alfasigma, Abbvie, Bayer, eccetera. Colossi mondiali, ma anche piccole aziende gioiello. “Siamo stati tra i primi a capire la gravità del virus, tanto che già dal 20 febbraio la maggior parte delle nostre imprese hanno iniziato a mettere i lavoratori in smart working. Ora tutti lavorano da casa, a parte gli addetti alla produzione nelle fabbriche, che voglio personalmente ringraziare. Lavorano tutti seguendo gli standard di sicurezza, che per noi sono la norma”, dice Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria.

 

L’associazione che raduna le imprese del farmaco si è mossa da fine febbraio seguendo quattro direttive: gestire al meglio l’organizzazione del lavoro, garantire la continuità produttiva e la distribuzione dei prodotti, continuare la fase di sviluppo e ricerca, garantire la corretta informazione scientifica sui farmaci.

 

Il caos su mascherine e respiratori non riguarda le aziende di farmaci, ma magari un’idea se la sono fatta. “Noi possiamo rispondere solo della produzione e distribuzione dei medicinali, che non può essere interrotta mai, anche perché ci sono tutti i pazienti non Covid cui va garantita la massima assistenza. Ma un paese come il nostro deve avere maggiore cura nel difendere le aziende strategiche, comprese quelle degli strumenti per la medicina. Se dipendiamo completamente dall’estero, quando si va in emergenza, ogni paese tende a pensare a sé. E così è successo”, osserva Scaccabarozzi. In tal senso, secondo Farmindustria, il governo deve aiutare l’Italia a restare competitiva sulla produzione di farmaci. “Siamo tra i primi al mondo, siamo attrattivi e lo rimarremo se anche la politica farà la sua parte, come a volte non è accaduto in passato. La competizione è feroce e molti paesi ambiscono alla nostra posizione”, osserva il presidente dell’associazione.

 

Nel frattempo nei centri di ricerca presenti nella regione si lavora su due fronti: il vaccino e una possibile cura finché non arriva. Secondo il sito dell’Oms, sono cinquantadue le realtà, tra aziende farmaceutiche e centri di ricerca universitari, impegnate nella ricerca del vaccino. In tal senso, nel Lazio, continua la sperimentazione su alcuni farmaci antivirali contro l’Hiv e l’Ebola, ma si sta sperimentando anche un antivirale nuovo, non ancora in commercio, il Rendesibir. “Ci sono diverse aziende italiane all’avanguardia sul fronte dei vaccini e sono già parecchio avanti, ma il tempo ipotizzato dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Agenzia del farmaco è corretto: siamo nell’ordine dei 12 mesi. Nel frattempo il vaccino siamo noi stessi, ognuno di noi, con il dovere di stare a casa e non infettarci a vicenda”, afferma Scaccabarozzi. Che condivide la linea del governo. Ci si poteva muovere prima? Si è perso tempo favorendo il contagio? “Non so, ma non dobbiamo dimenticare che ci troviamo ad affrontare una situazione del tutto nuova e sconosciuta. Credo che il governo si sia mosso bene, più vicino alla via cinese che a quella più libertaria del nord Europa. E il ritorno alla normalità non potrà che essere graduale”.