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Il fallimento di Raggi è nella gestione clientelare delle municipalizzate

Luciano Capone

Atac, Ama, Acea. Partecipate sventure e calamità capitali. Per misurare il disastro dell’amministrazione non bisogna guardare tanto alle inchieste giudiziarie quanto alla pessima gestione delle società partecipate

Roma. La quotidianità di Roma è da film post-apocalittico. Per misurare il fallimento completo dell’amministrazione di Virginia Raggi non bisogna guardare tanto alle inchieste giudiziarie che coinvolgono i vertici della giunta e del consiglio comunale, ma alla pessima gestione delle società partecipate, che sono poi le aziende comunali che dovrebbero garantire i servizi essenziali dei cittadini. A differenza di altre grandi città italiane, in nessuna di queste aziende è stato fatto il salto organizzativo e di mentalità industriale che ha trasformato le vecchie municipalizzate in grandi utility e multiutility. A Roma le partecipate continuano essenzialmente a essere macchine inefficienti per i cittadini e un serbatorio di consenso per la politica. In questo senso il “concordato in continuità” ottenuto per salvare l’Atac dal fallimento è la metafora perfetta dell’approccio della giunta Raggi nella gestione delle partecipate: nessuna rivoluzione, nessun cambiamento, ma concordato in continuità. In una situazione che però, rispetto al passato, si è incancrenita e con l’aggiunta dell’approssimazione e dell’impreparazione grillina.

 

Il concordato che avrebbe “salvato” Atac infatti non ha cambiato nulla, anzi ha peggiorato la situazione, perché senza alcuna riforma sostanziale di un’azienda che macina perdite ne ha cambiato la finalità: non più quella di offrire servizi decenti ai cittadini, ma ripagare lentamente il debito residuo (posto che quello dei contribuenti sarà l’ultimo ad essere pagato, probabilmente nel duemilamai). Come dice Riccardo Magi, deputato di +Europa ed ex consigliere comunale dei Radicali che si vedeva urlare in faccia “o-ne-stà” dagli attuali amministratori del M5s che distribuivano arance e ora si trovano sotto indagine o agli arresti, “non è l’azienda che si adatta alla vita della città, ma è la città costretta ad adattarsi alle necessità e inefficienze dell’azienda. E’ il ribaltamento del concetto di servizio pubblico”. E in effetti per rendersi conto della verità dell’affermazione basta guardare alle tre fermate centrali della metropolitana (Repubblica-Barberini-Spagna) chiuse a tempo indeterminato per l’irreperibilità di pezzi di ricambio delle scale mobili. Per la mancata manutenzione delle scale mobili, all’origine dell’incidente dello scorso ottobre in cui restarono feriti 24 tifosi del Cska di Mosca, è stata aperta anche un’inchiesta della procura di Roma che vede indagati tre dirigenti per disastro colposo e lesioni personali.

 

La mancanza di visione e di progettualità è visibile dal ritmo con cui si avvicendano i vertici delle aziende comunali, che ha la stessa intensità di quello con cui si dimettono o vengono cacciati gli assessori comunali in genere e alle partecipate nello specifico. Finora gli assessori con delega alle partecipate sono stati: Minenna, Colomban, Gennaro e ora Lemmetti. Così all’Atac, dopo Rettighieri e Brandolese sono arrivati Fantasia e Rota (che è scappato via di corsa) e ora Simioni che però già guardava ad altri incarichi come Finmeccanica. Stesso giro di giostra per Ama, la società dei rifiuti, che ha visto avvicendarsi diversi assessori all’Ambiente ancora più amministratori: i vertici dell’Ama sono cambiati quattro volte (Fortini, Solidoro, Giglio, Bina, Bagnacani) e ora si attende la quinta. Nel frattempo, in tre anni di amministrazione Raggi, le promesse di riduzione della produzione dei rifiuti e di aumento della raccolta differenziata fino al 70 per cento sono state clamorosamente smentite: la produzione dei rifiuti è aumentata (1,7 milioni di tonnellate l’anno) e la raccolta differenziate è diminuita per la prima volta in 10 anni, scendendo al 44 per cento. In aggiunta l’Ama si ritrova con gli unici due Tmb fuori uso perché incendiati e senza alcun progetto per la costruzione di nuovi impianti, lasciando praticamente la città in emergenza. Ci sarebbe poi la vicenda Farmacap, la società che gestisce le farmacie comunali: dopo anni di perdite l’ex dg Simona Laing (indicata dalla giunta Marino) era riuscita a portare l’azienda in utile e proprio per questo è stata licenziata con una serie di accuse false e infamanti. Tanto che l’accusatore, il commissario straordinario Angelo Stefanori è stato rinviato a giudizio per diffamazione, calunnia e minacce nei confronti della Laing. Così anche Stefanori si è dimesso.

 

L’altra grande partecipata, Acea, è un capitolo a parte, perché quotata e con una forte componente privata, cose che quantomeno garantiscono maggiore trasparenza ed efficienza. Ma anche in questo caso sconta problemi che derivano dall’azionista di maggioranza pubblico: il presidente Luca Lanzalone e l’ad Stefano Donnarumma entrambi scelti dal M5s (ma il secondo stimato non solo dal M5s) sono indagati (il primo agli arresti) per ipotesi corruttive che non riguardano l’azienda. E pensare che se passasse la proposta del M5s che prevede la pubblicizzazione delle società idriche, anche Acea diventerebbe a tutti gli effetti un’altra Atac.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali