Foto LaPresse

Svelato il bluff del concordato: irragionevole e scritto con i piedi

Massimo Solani

Rischia di essere bocciato. Una sconfitta clamorosa e una ingestibile certificazione d’incapacità dell’amministrazione

Roma. Le garanzie per i creditori, le tempistiche dei pagamenti e le perizie con cui sono state valutati i beni di proprietà dell’azienda. E poi i prestiti rimborsati alle banche in tempi sospetti, i progetti di rilancio aziendale e gli onorari milionari a chi ha lavorato al piano. Sono molti, e per certi versi imbarazzanti, i rilievi che il collegio del tribunale fallimentare ha formulato nei confronti del piano di concordato presentato da Atac per scongiurare il crac finanziario.

  

Dubbi, quando non esplicite bocciature, ai quali il 30 maggio l’amministratore unico Paolo Simioni dovrà provare a dare risposte in coda a un lavoro affannato necessario per smontare e rimettere in piedi in soli sessanta giorni il lavoro fatto dagli esperti convocati al capezzale di Atac e dichiarato sostanzialmente inammissibile.

  

“Raramente, nella mia attività professionale, ho visto una stroncatura di questo genere”, commenta l’avvocato, ex deputato e oggi esponente di +Europa, Andrea Mazziotti. “Il tribunale in pratica – prosegue – dice che chi ha deciso per il concordato e chi ha scritto quel piano non si sono minimamente preoccupati di valutare se quella fosse la strada più conveniente e soddisfacente per gli interessi dei creditori. Secondo i giudici infatti, nella proposta di concordato, è stato fatto un lavoro sbilanciato in modo totalmente irragionevole a favore del concordato”.

  

Prendiamo il destino dei creditori non privilegiati: secondo le previsioni depositate in tribunale vedranno pagato per intero il proprio credito, parte in contanti (31 per cento in due rate) parte in titoli legati agli utili di una azienda che però utili non ne ha mai fatti. “Secondo il piano questa è una soluzione preferibile alla liquidazione che invece permetterebbe ai creditori non privilegiati di arrivare al 56,5 per cento – prosegue l’ex presidente della Commissione Affari Costituzionali – ma è proprio il tribunale a  dire che questo prospetto è  “poco chiaro”, “indeterminato”, “non ragionevole” e “non supportato da alcun elemento concreto””. 

   

Stroncata, da parte dei giudici, anche la valutazione dei beni aziendali. “I terreni e fabbricati sono valutati, nel caso di continuazione del servizio, 96 milioni, zero in caso di liquidazione – spiega Mazziotti – Impianti, tranvia e filovia sono valutati 364 milioni in continuità e solo 12,3 milioni nel caso di liquidazione. Persino gli autobus sono valutati 651 milioni in continuità e solo 164 milioni in caso di liquidazione.  Un’assurdità: è come se chi ha scritto quel piano partisse dall’assunto che in caso di liquidazione i beni sarebbero svenduti senza fare nulla per valorizzarli mentre è evidente che chiunque dovesse prendersi in carico il servizio al posto di Atac ne avrebbe bisogno e li rileverebbe”.

   

Poi c’è il discorso su quei 55 milioni di prestiti che Atac ha restituito alle banche, con il via libera della giunta Raggi, quando era già insolvente: pagamenti che secondo procura e tribunale potrebbero essere addirittura annullati. “La realtà è che si è deciso per il concordato con l’obbiettivo di escludere la possibilità che il servizio potesse essere affidato attraverso una procedura di gara – conclude Mazziotti – Ora però, se non riusciranno a risolvere i problemi segnalati dai magistrati, rischiano che questo accada lo stesso per decisione di un giudice”.

   

Dello stesso parere anche l’avvocato radicale Francesco Mingiardi che ha curato il ricorso al Tar contro la decisione di prorogare l’affidamento del servizio “in house” ad Atac fino al 2021. “Qualsiasi altra azienda sarebbe già stata dichiarata fallita – spiega – Per questo è grave che l’amministrazione abbia legato il destino di un servizio al soggetto che lo fornisce. Ma dove non è arrivato il Comune potrebbe arrivare il giudice che per non depauperare il valore dell’azienda e permetterle di continuare a produrre potrebbe decidere per un esercizio provvisorio. E sarebbe la prima volta di un servizio pubblico gestito da un tribunale”.

  

Timori che si rincorrono con sempre maggiore insistenza anche nelle stanze del Campidoglio, dove è chiaro che una bocciatura del piano di concordato sarebbe una sconfitta clamorosa e una ingestibile certificazione di incapacità governativa. E chissà allora che non siano vere le voci che vorrebbero Campidoglio e Atac al lavoro per ottenere dal tribunale una nuova proroga dei tempi nella speranza di veder arrivare a Palazzo Chigi un governo “amico” che tenda una mano (e il portafogli) al Comune mandando così in archivio la procedura di concordato.

Di più su questi argomenti: