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Nasce il modello Zingaretti. Pd e M5s insieme?

Valerio Valentini

A un passo dall’accordo nel Lazio. Di Maio alla Lombardi: “Con cautela”. Appoggio esterno sui temi. E forse la vicepresidenza

Roma. Che l’importante fosse avere pazienza, Nicola Zingaretti lo ha sempre saputo. E pure che fosse ai Cinque stelle, che bisognasse guardare per superare lo stallo di una maggioranza azzoppata in Consiglio regionale, era cosa nota nell’entourage del governatore laziale fresco di riconferma. E infatti gli eventi sono maturati, il disegno, almeno per ora, s’è compiuto come doveva. Roberta Lombardi, alla fine, l’apertura l’ha fatta, con parole perfino più chiare di quelle che nel Pd laziale potessero sperare: “Siamo pronti a lavorare con Zingaretti su temi concreti”. Inevitabile, in fondo, che l’impasse si risolvesse cosi, consolidando un successo apparentemente dimezzato. La mano tesa della Faraona era nell’aria da giorni, caldeggiata peraltro dai vertici nazionali del M5s, tutti indaffarati in queste stesse ore a tessere una sceneggiatura analoga, ma a parti invertite, per tentare di formare un governo a guida pentastellata col supporto di altri partiti.

 

E dunque ecco che il problema di una maggioranza che non c’è, alla Pisana, e di quel seggio che manca per aggiungersi ai 24 già acquisiti e concedere piena libertà di manovra, rapidamente sparisce. Lo scenario delle dimissioni di massa delle opposizioni, ventilato da Sergio Pirozzi, è stato uno spauracchio reale per qualche ora soltanto. Certo, nel centrodestra c’è chi mostra di crederci, alla soluzione estrema delle dimissioni in blocco. Matteo Salvini martedì l’ha messa giù chiara: “Come Lega siamo pronti alle dimissioni”. Per poi, però, subito aggiungere un’altra soluzione, alternativa alla prima: “Votare la sfiducia a Zingaretti”. Stessa idea prospettata da Giorgia Meloni. Insomma, l’adesione all’iniziativa lanciata dal sindaco di Amatrice è solo apparente. E infatti anche i fedelissimi della Meloni, a microfoni spenti offrono si mostrano ben più prudenti: “Pirozzi ha fatto questo strappo per proteggersi dalle accuse di chi lo incolpava di aver fatto vincere Zingaretti, sottraendo a Stefano Parisi quel 5 per cento decisivo. E allora, su consiglio di quella vecchia volpe di Francesco Storace, ha provato a far saltare il tavolo”. Tutta scena.

 

 

Roberta Lombardi, invece, dal canto suo l’aveva annunciato subito: “Noi dal notaio non ci andiamo, quel metodo appartiene a qualcun altro”, ha detto con velenoso riferimento alla fine che fu di Ignazio Marino. D’altronde, se pure una vaga tentazione di sostenere l’ipotesi delle dimissioni l’avesse cullata, le è stato fatto comunque arrivare il divieto categorico dal quartier generale di Luigi Di Maio. Con una postilla: l’apertura dovrà esserci, ma cauta e ben condizionata, anche per evitare di rafforzare una figura a cui comunque gli avversari del Pd guardano con un certo timore. Adelante, insomma, ma con juicio. E infatti ieri, sulla pagina Facebook della Lombardi, è arrivata la conferma ufficiale: “Non ci interessano i nomi, le alleanze, le strategie da titolone dei giornali, se ‘mi si nota di più se mi dimetto o se lo sfiducio il primo giorno’. Ci interessa solo il futuro di questa Regione, che non può essere ostaggio delle beghe interne di un partito, né dei rilanci in tema di visibilità mediatica o divisione delle poltrone”. In verità di poltrone, com’è inevitabile, si sta parlando eccome. E si parlerà anche nei prossimi giorni, quando l’atteso faccia a faccia tra Zingaretti e la Lombardi ci sarà. Sul tavolo, al momento, non c’è la presidenza dell’Aula: quella è blindata per la riconferma di Daniele Leodori. E neppure posti in giunta. In ballo ci sono, però, le presidenze di alcune commissioni, e soprattutto lo scranno di vice-presidente dell’Assemblea. Sarà questa l’offerta che Zingaretti avanzerà ai Cinque stelle, in cambio di un supporto ancora da definire nei dettagli. Ai Cinque stelle e a nessun altro: questa è la linea. “Nicola – dice un suo fedelissimo – lavora su due tavoli: nazionale e regionale. E se ha già dimostrato di essere in grado di parlare con la sinistra, costruendo con Leu una coalizione che ha vinto e che può governare, ora ha interesse a mostrarsi capace di intessere relazioni costruttive anche coi grillini, in ottica non solo laziale”. E non a caso in queste stesse ore il governatore sta appunto predicando la via dell’apertura a Di Maio e compagnia nell’ottica di un governo da fare. Condivide l’analisi anche Marco Miccoli, zingarettiano doc: “Il richiamo all’umiltà fatto da Nicola è significativo. E’ un invito a non demonizzare né deridere l’elettorato grillino”. Sarebbe bizzarro, allora, che proprio lui fosse il primo a guardare altrove, dovendo trovare la quadra per la Pisana. “Anche perché – prosegue Miccoli – in una coalizione con Leu dentro, è impossibile per ora aprire a un centrodestra che, a parte la figura moderata di Parisi, in Lazio è a trazione sovranista e leghista”.

 

E’ ai grillini, quindi, che Zingaretti getta l’amo. Consapevole di condurre la trattativa da un posizione di forza: loro da un lato non potranno mostrarsi schizzinosi, ora che Di Maio il tabù dell’alleanza coi vecchi odiati partiti lo ha rotto eccome; e dall’altro pensano a un eventuale ritorno al voto come a una iattura da scongiurare – privi come sono di un candidato forte alternativo alla Lombardi: e sì che neppure lei, alla fine, troppo forte s’è rivelata.

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