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Questo calcio femminile è un affare

Alessandro Rimi

Sogno e business. Sponsor, tv, giornali, grandi club, Fifa e Uefa: tutti investono nella nuova bolla

C’è un calcio che cresce vertiginosamente e non è quello di cui si discute amabilmente al bar ogni mattino. Non ancora, almeno. Nell’ultimo anno anche i più tradizionalisti e scettici si sono accorti dell’ascesa di quello che gli aristocratici del pallone chiamano “Pink Football”. Inglese più che opportuno quando si parla di uno sport che affonda le sue radici nel Regno Unito. Potevano le società britanniche non cavalcare un’onda la cui crescita in effetti fa spavento? Ovviamente no. Lo rivelano – manco a dirlo – il numero di giocatrici attive, la forza dei club, le strutture e gli investimenti che proliferano come bambù in Inghilterra. Seguono quelle di Stati Uniti, Francia, Germania, Brasile, Messico e Olanda. Tutto uguale al calcio degli uomini, non fosse per l’assenza spiazzante di Italia e Spagna. Carenza che riflette il passato recente dei grandi club. Incredibile, giusto per mettere le cose in chiaro, notare che il Real Madrid (club col fatturato più alto d’Europa) non disponga ancora di una prima squadra femminile. Detto che con ogni probabilità arriverà molto presto, c’è una vasta selezione di società europee che invece ha intuito in anticipo tempi, direzione e punti di forza della nuova e strabiliante giostra. Più investimenti vuol dire più visibilità che, a sua volta, vuol dire più interesse e, quindi, più fan su scala globale. Equazione scientifica. Stiamo parlando di un meccanismo che, una volta raggiunta la velocità ideale, arriverà a coinvolgere un numero talmente largo di player da diventare praticamente inarrestabile. E quando viaggi con i mezzi di Fifa (500 milioni di dollari per i prossimi quattro anni volti a finanziare programmi di sviluppo, Mondiali e competizioni giovanili) e Uefa (nel 2016 aumentati del 50 per cento i fondi di sviluppo e favorito linee di sponsorizzazioni indipendenti dal calcio maschile), ecco che in ogni semaforo scatta finalmente il verde. Chi è rimasto immobile a contemplare la genesi di un corpo celeste quasi inesplorato, meglio che spinga sull’acceleratore. Come in Italia, da quattro anni a questa parte, fa la Figc.

 

Nel biennio 2015-’17, il governo Tavecchio decide di sterzare: nasce prima l’obbligo di sviluppo graduale di un settore giovanile femminile per le società professionistiche maschili, poi la possibilità di cessione del titolo sportivo al fine di incentivare i club a scommettere seriamente sulle donne. “Perciò noi rileviamo il titolo del Cuneo – spiega al Foglio Sportivo Stefano Braghin, dg Juventus Women – La Figc dà il calcio d’inizio, sdoganando un mondo intero. In quel biennio, chi lavora in Federazione, si rende evidentemente protagonista di un grande lavoro”. Già perché non è casuale il cambio di passo negli ultimi anni. Il Milan imita i bianconeri e acquisisce il marchio del Brescia. La Fiorentina, già in vita dal 2015, avanza ulteriormente, l’Inter sceglie di partire dalla B e in un amen eccola nella massima serie. Le parti in gioco iniziano a convergere, Nyon è presente e spinge, bastano pochi interventi e la bolla diventa enorme. Vuoi che i media si perdano lo spettacolo? Macché. La scorsa estate Sky Sport scommette sulla Serie A rosa e regala totale visibilità a un prodotto per qualcuno oscuro. Un passo decisivo verso un mercato che brilla come l’oro e che promette oro a chi sceglie di accompagnarlo per un periodo medio-lungo. La tv di Comcast ne comprende il valore prima di ogni altro, accaparrandosi pure Coppa Italia, Supercoppa Italiana e Mondiali di Francia. Perché se le ragazze in pantaloncini e tacchetti non le mostri al mondo, come fai a innamorartene come al 2-1 di Bonansea nella gara d’esordio contro l’Australia (4,6 per cento di share)? All’improvviso ci si sente italiani. L’orizzonte anzi si allarga, perché sai quante storie da raccontare, quanto passato da spolverare, quanto senso di colpa per non aver considerato football anche questo? Diverso, sia chiaro, ma potenzialmente altrettanto appassionante. Per i media dell’intero pianeta è un assist gigantesco: in Brasile Globo per la prima volta trasmette le partite della Seleção gratuitamente, in Inghilterra la Bbc dona copertura totale in prima serata a tutti i match del Mondiale che, mai come prima, diventa vetrina brillante, romantica, sincera. A tal punto da catturare l’attenzione dei big del calcio maschile. Prendiamo CR7, sempre più convinto di voler mettere in piedi una nuova serie tv sul pallone rosa. Un treno inarrestabile destinato a correre forte. Benefici che pure abbracciano gli stadi, perché se ami il Milan, o il Manchester United o, ancora, il PSG, lo fai a prescindere da chi vedi sudare sul rettangolo verde. È un richiamo fortissimo. Il record di affluenza in un singolo match è stato registrato in Spagna, in Primera División Femenina, lo scorso marzo durante Atletico-Barcellona (60.739). In Italia, nello stesso periodo, lo Stadium di Torino vibrava con oltre 39 mila spettatori per Juve-Fiorentina. Mai prima in Italia si era visto nulla di simile. “Vedere così tanta gente deve essere una cosa normale – continua Braghin – La via è lunga, ma meno di quanto si pensi perché il calcio è uno, il gioco è quello, la passione è la stessa”. Lo guardi, lo apprezzi, ne parli. E dove se non sui social, per di più con un Mondiale in corso. Negli Stati Uniti il 58 per cento delle persone che parlano della Nazionale Femminile di calcio su Facebook sono donne (il 60 per cento su Instagram), in Germania il 54, nel Regno Unito il 44, in Francia il 38. La tendenza pare abbastanza chiara, ma è destinata pure qui a uniformarsi. Di uomini online post Italia-Australia ce n’era una pletora. Le Azzurre ti portano dentro. Secondo Nielsen Sports, il 40 per cento dei nati in paesi rappresentati da una Nazionale sono interessati al calcio femminile. Ci abituiamo rapidamente per inseguire un trend ormai planetario. Sono circa 314 milioni le persone globalmente coinvolte dal fenomeno (54 per cento uomini e il 46 donne con il 28 per cento di età compresa tra i 25 e i 34 anni).

 

In Olanda (regina d’Europa nel 2017) il 59 per cento della popolazione è interessata sia al calcio femminile che a quello maschile, negli Stati Uniti e in Cina hanno fatto registrare la percentuale maggiore di interesse per il solo movimento femminile (con il 13 e il 9 per cento). Ciò che agli estremi della Terra è da decenni considerata roba seria, dalle nostre parti solo adesso inizia a stuzzicare l’attenzione di chi abitualmente si nutre di sport. Dice: il livello non è certo quello degli uomini. Lo stesso, però, si potrebbe dire di qualunque altra disciplina. Allora meglio fare un rapporto con le colleghe americane, inglesi e francesi, reale benchmark per il pallone rosa in Italia. Solo così è possibile rendersi conto di quanto è ancora lunga la strada. L’Inter, a cui il quadro è ben noto, ha stanziato un budget mica da ridere su atlete e formazione e così ha di fatto dominato il campionato di B per raggiungere la vetta nazionale. Saranno mesi di test, nondimeno il target è uno soltanto: alzare l’asticella tecnica, varcare i confini congeniti al calcio italiano laddove il successo, anche in questo caso, passa dai risultati. Ditelo alla Juventus che con gli uomini va ogni stagione a caccia della Champions e con le donne intende presto fare lo stesso. “C’è chi ha iniziato in anticipo ed è più avanti, ma non per questo migliore di noi – conferma Braghin – Quando gli italiani fanno calcio possono accorciare il gap in fretta. Certo, in Germania si contano 300 mila tesserate, da noi appena 23 mila e perciò servono almeno 5-6 anni per ridurre il margine”. Essere tornati a giocare un Mondiale dopo vent’anni certamente aiuterà. Il vento è favorevole per sfoggiare tutto il potenziale di casa nostra e pure per approfittare dei budget Fifa, schizzati verso l’alto in maniera esponenziale. Per dare un’idea, tra premi di partecipazione e piazzamento, il montepremi record garantito da Zurigo ammonta a 50 milioni di euro (+233 per cento sul 2015), di cui 27 riservati ai piazzamenti, 10 a preparazione e amichevoli pre-torneo, 7,5 al Club Benefits Programme (revenue destinate ai club che prestano giocatrici alle Nazionali). Numeri che a Mbappé e Pogba darebbero appena un po’ di solletico, considerando i 34 milioni di euro che la sola selezione di Deschamps s’è portata via l’anno scorso dalla Russia. Budget imparagonabile ai 3.5 milioni stanziati per le ragazze che trionferanno in Francia. La forbice resta ampia. Ma è proprio in questa forbice che in futuro si giocherà la partita del business. Che non mette di fronte avversari, casomai promuove alleanze e collaborazioni. Un albero dalle infinite ramificazioni. Una di queste porta ai “unbundling women’s football rights”, ovverosia tutti i vantaggi derivati dalla sottoscrizione di accordi (commerciali e di sponsorizzazione) separati per le diverse selezioni all’interno di una società. Esempi: Barcellona e Stanley, Juventus e M&M’s, Liverpool e Avon, Atletico Madrid e HerbaLife. Poi le leghe: LaLiga Femenina e Iberdrola, Frauen-Bundesliga e Flyeralarm, FA Women’s Super League e Barclays. La Serie A, dopo il fallimento del precedente title sponsor Dolci Sapori, rivelerà presto il suo futuro partner finanziario. Una detonazione commerciale che risponde pazientemente ai tanti perché. “All’estero hanno studiato la Juve e già quest’anno sono arrivate diverse richieste di sponsorizzazione – dice Braghin – Ora siamo credibili, possiamo pensare in grande. Sono tante le aziende che prima non si sentivano a proprio agio e che adesso hanno trovato nel femminile un’occasione per inserirsi”. Andamento frenetico. Somiglia molto a una gara a cui tutti vogliono prendere parte e guai se resti tagliato fuori. Così è per il Milan, la Roma, l’Inter. Il club nerazzurro, seppur ancora in una fase preliminare, è tra i più attivi quanto a idee e strategie di marketing mirate a scolpire i contorni del progetto rosa. Le prospettive assumono dimensioni iperboliche per un brand di tale portata. Le stesse entro le quali hanno navigato Barclays (accordo triennale da 13 milioni di dollari con la prima divisione inglese), VISA (per i prossimi sette anni sponsor degli eventi femminili Uefa come Mastercard lo è per quelli maschili), Adidas (impegnata a garantire alla Nazionale femminile campione del mondo gli stessi bonus offerti in passato agli uomini), Orange (sponsor del Mondiale femminile), Nike (partner per tre anni di UEFA e sponsor della manifestazione con la campagna #WePlayStrong). La lista è lunga. Tra le tante iniziative, Nike ha lavorato con Inter sulla prima campagna in Italia che ha messo insieme calciatori e calciatrici. In questo modo si creano nuovi scenari per gli sponsor, fortemente interessati ad abbattere gli stereotipi sociali. Per questo sentiremo sempre più spesso parlare di one football e uguaglianza di genere. Passaggio fondamentale per mutare la percezione nell’immaginario collettivo degli appassionati. Condicio sine qua non perché pure le nostre giocatrici possano evolvere in brand. Il Lione in Francia investe circa 5 milioni di euro l’anno sul calcio femminile, vince la Champions da quattro stagioni, ha in casa il Pallone d’Oro Ada Hegerberg, la calciatrice più pagata al mondo (400 mila euro annui) assente al Mondiale per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle differenze salariali tra uomini e donne nel football (Messi guadagna 87 milioni lordi). Specchio, questo, di un movimento in espansione ma ancora distante dal calcio maschile. Marchi, società, investimenti e sinergie hanno i connotati per stravolgere le gerarchie. Serve tempo.

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