Elly Schlein - foto Ansa

L'editoriale del direttore

La sofisticata strategia di Elly Schlein per archiviare la storia del Pd

Claudio Cerasa

La segretaria dem sono mesi che mostra quanto detesti tutto ciò che lo stesso Pd rappresenta. Per questo, insieme al Movimento 5 Stelle, si isola in Europa e al moralismo risponde con altro moralismo

Lo pensi mentre è lì a occuparsi del disastro di Bari. Lo pensi mentre è lì a occuparsi del posizionamento sui migranti. Lo pensi mentre è lì che cerca un modo per far sentire la propria voce sul Patto di stabilità. Lo pensi mentre è lì che cerca di non farsi oscurare da Giuseppe Conte. Lo pensi mentre è lì che cerca un modo per trovare la giusta armocromia per le liste del Pd. Lo pensi mentre è lì che cerca di trovare le parole giuste per non far capire quello che davvero pensa dell’Ucraina, delle armi a Zelensky,  della difesa di Israele, del garantismo. Sono mesi che ogni volta che ne ha l’occasione Elly Schlein offre elementi fattuali per mostrare quanto la segretaria del Pd detesti più o meno tutto ciò che il Pd rappresenta. La sua storia, la sua struttura, la sua forma, la sua classe dirigente, la sua identità, il suo posizionamento europeo e persino quelle correnti senza le quali oggi la leader del Pd non sarebbe alla guida del Pd. I fatti sono noti ma vale la pena metterli l’uno vicino all’altro.
 

Giuseppe Conte critica il Pd per essere compromesso con un sistema marcio di potere e Schlein piuttosto che difendere la sua classe dirigente dice implicitamente che Conte ha ragione e dice che d’ora in poi i candidati del Pd dovranno firmare un fondamentale nuovo codice etico (eureka!). Il M5s sceglie di votare contro l’invio delle armi in Ucraina e il Pd di Schlein tradendo la sua storia decide di astenersi sia di fronte a una mozione del governo che chiede di inviare armi sia di fronte a una mozione del partito di Conte che chiede di non inviare più armi. Stessa storia con le mosse europee. Il Pd, insieme con il Pse, ha lavorato per molti anni per approvare in Europa la riforma sui migranti e Schlein, tradendo la storia del Pd, improvvisamente sceglie di votare contro. Il Pd, insieme con il Pse, ha lavorato molti mesi per approvare in Europa, con il suo commissario all’Economia Paolo Gentiloni, il Patto di stabilità e Schlein invece annuncia che di fronte a quel patto in Parlamento non voterà a favore. Il Pd, nella scorsa legislatura, ha lavorato per inserire nel Pnrr la fine del mercato energetico tutelato e al momento del dunque, in Aula, il Pd sceglie di votare contro quella stessa riforma. Il Pd, ancora, è il partito che potrebbe rivendicare con maggiore orgoglio il suo tratto riformista sul tema del lavoro, essendo stato il partito che ha fatto approvare il Jobs Act ai tempi di Renzi, ma l’odio nei confronti dell’ex segretario è così profondo che quella riforma ha scelto di non difenderla, al punto da non contestare la decisione della Cgil di organizzarvi un referendum contro. Stessa storia sulle candidature europee.
 

Schlein cerca una società civile da valorizzare nelle liste non perché sia desiderosa di allargare il perimetro del partito ma perché fatica a sentirsi rappresentata dalla classe dirigente del suo stesso partito. Si capisce che la leader del Pd, che alla guida del Pd ci è arrivata nonostante le volontà degli iscritti del Pd fossero diverse, voglia far di tutto per far apparire il Pd diverso rispetto al passato. E si capisce che Schlein cerchi una soluzione per concentrare la sua attenzione sulla conquista di un elettore che la segretaria considera strategico ma chissà se esiste davvero: il famigerato astensionista di sinistra. Ma il combinato disposto degli schiaffi continui mollati al Pd dalla segretaria del Pd è lì a produrre un effetto perverso, patologico, scoraggiante. L’immagine di un partito che al moralismo degli alleati risponde con il moralismo, che  a forza di inseguire il M5s si sta allontanando dal Pse, che piuttosto che scommettere sulla propria classe dirigente scommette su chi la classe dirigente del Pd la detesta (vedi la timida nota della segretaria di ieri sul caso Bari) e che piuttosto che essere alternativo a Meloni appare ogni giorno come alternativo a se stesso.. Provare ad aprire il Pd è un tentativo saggio, ma provare ad aprirlo come una scatoletta di tonno forse non dovrebbe essere il compito primario della leader del Pd.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.