Elly Schlein - foto Ansa

Il caso

Anche sui migranti il Pd si dissocia dal Pse e sale sul treno di Conte

Pietro Guastamacchia

Il Parlamento europeo vota il Patto europeo per la migrazione e l'asilo. Dopo aver sostenuto ampie parti dell'accordo, ora i dem si riposizionano con la delegazione grillina, contraria fin dall'inizio. Critiche a pioggia

Bruxelles. Sui migranti il Pd di Schlein scende dal carro dei socialisti europei per salire sul taxi di Conte. Dopo oltre dieci anni di trattative oggi arriva in Aula al Parlamento europeo il voto finale sui vari fascicoli del Patto europeo per la Migrazione e l’Asilo: il risultato di due legislature di negoziati sui temi principali della risposta europea al fenomeno migratorio.
 

Il Pd, dopo aver sostenuto in diverse votazioni a Strasburgo ampie sezioni dell’accordo, ha deciso di riposizionarsi con la delegazione pentastellata a Bruxelles, fortemente contraria all’accordo da inizio trattative. Una dinamica che dovrebbe ripresentarsi tra due settimane a Strasburgo quando i dem pianificano di sbattere la porta in faccia a un altro testo: il Patto di Stabilità, negoziato dal loro ex premier, Paolo Gentiloni. Nel partito socialista europeo però l’indicazione è quella di sostenere l’intero accordo, nettamente a favore sono infatti i socialisti spagnoli del Psoe e quelli tedeschi del Spd. “Spero che domani a Bruxelles il consenso sul Patto per la Migrazione e l’Asilo sia forte. Sulla questione dei migranti serve una soluzione europea”, ha detto infatti la ministra dell’Interno tedesca, Nancy Faeser, in conferenza stampa a Berlino il giorno dopo al vertice che ha visto il cancelliere Scholz incontrare la dirigenza spagnola dei socialisti Ue nella capitale tedesca, consolidando un’asse che da anni ormai guida gli equilibri della famiglia socialista europea.
 

Favorevoli anche popolari e liberali, che preannunciano voto a favore con il presidente del Ppe, Manfred Weber, ben informato dai suoi, che ieri pomeriggio ha attaccato frontalmente i democratici italiani: “non si sottraggano alle loro responsabilità. L’Italia è il paese più colpito. Se il patto migratorio fallisse, causerebbero danni enormi all’Europa e in particolare al loro Paese, il voto di domani deciderà se il Pd continuerà a essere un partito europeista”. Attacco che ha innervosito i dem a Bruxelles che dopo pochi minuti hanno risposto per bocca del capodelegazione Brando Benifei: “Il Pd non si fa dare lezioni di europeismo da Weber”. Benifei ha poi attaccato i popolari che “in materia di asilo e migrazione vogliono usare i fondi europei per costruire mura e recinzioni ‘modello Ruanda” e annunciato che “per noi del Pd il compromesso raggiunto è davvero troppo poco e per questo voteremo contro”.
 

Dubbi però nella minoranza Pd, “così ci si fa del male” spiegano nei corridoi dell’Eurocamera, “vediamo se seguiranno tutti Schlein”, spiegano dallo staff dem, preannunciando attenzione maniacale ai tabelloni di domani. Persa Schlein la maggioranza europea però guadagna, forse, Meloni. Il governo italiano infatti ha dato il via libera in sede di Consiglio Ue all’accordo, dopo anni di contrarietà da parte delle destre italiane. Sul voto di domani tuttavia la delegazione meloniana si tiene comunque le mani libere: “valuteremo testo per testo”, spiegano. L’intero accordo andrà al voto separato in 9 regolamenti alcuni dei quali godono ancora di ampia maggioranza mentre altri, come il regolamento sulle “situazioni di crisi e forza maggiore” erano già in bilico prima della giravolta Pd. Se dovesse fallire uno dei nove testi, tecnicamente gli altri rimarrebbero validi ma zoppicanti, “è chiaro che questo è un pacchetto e se un testo fallisce la prova del voto verrà a meno la stabilità di tutto il pacchetto”, ha confermato in conferenza stampa la liberale francese Fabienne Keller.
 

A giocarsi la faccia col voto di oggi infine c’è anche von der Leyen stessa, il sudato accordo sulla migrazione dovrebbe diventare infatti uno dei grandi risultati della sua legislatura, che già ha visto franare il Green Deal europeo tritato dall’opposizione del suo stesso partito. Torna dunque centrale per la presidente della Commissione Ue l’asse con la premier italiana e con Ecr per garantire una maggioranza ai testi elaborati dal suo esecutivo.