(foto EPA)

il lupo dell'austerity

Senza proposte reali, senza alleati. L'Italia arriva isolata al negoziato sul Patto di stabilità

Valerio Valentini

Ripudiata l'intesa con la Francia imbastita da Draghi. Snobbata la proposta di Spagna e Olanda. E poi gli attacchi a Gentiloni e alla Cammissione. A Bruxelles nessuno sa bene cosa vuole Meloni sulle regole fiscali, a parte cose impossibili

Parafrasando Meloni che parafrasa Giambruno, verrebbe da dire, se non fosse sgradevole, che il governo, nella trattativa sul Patto di stabilità, rischia di “mettersi nella condizione di consentire ad altri paesi di fare quello che vorrebbero fare”. E insomma di subire un trattamento non troppo piacevole. Perché non c’è solo la freddezza con la Francia. Il problema è che, anche volendo, comprendere le intenzioni dell’Italia è semplicemente impossibile. D’altronde, un governo che nella fase decisiva di un negoziato delicato decide di attaccare il commissario europeo del proprio paese non dimostra esattamente fermezza d’intenti. A meno che il tutto non vada interpretato come suggerisce il ministro Francesco Lollobrigida, secondo cui proprio nel sollecitare anzitutto il proprio rappresentante nelle istituzioni europee si fa sfoggio di determinazione. “D’altronde Paolo Gentiloni è un aristocratico nel blasone come nello spirito: non può che perseguire la via del giusto. E la presidente Meloni questo mi pare abbia esortato a fare”.

 

Sarà. Ma anche fosse, ci sarebbe da chiedersi quale sarebbe “il giusto”, per Meloni. La proroga della sospensione delle regole di bilancio per il 2024, che la premier ha detto di essere intenzionata a chiedere in mancanza di un accordo soddisfacente, è la sola ipotesi che tutti – sia i rigoristi al seguito della Germania, sia Francia e Spagna, sia soprattutto la Commissione – escludono categoricamente. E poi, e qui sta il punto, con chi perseguire questi obiettivi? L’intesa che pareva obbligata, la più logica se non la più conveniente, e cioè quella con la Francia, già imbastita da Mario Draghi ed Emmanuel Macron, è stata sostanzialmente snobbata da Meloni. E si dirà che, certo, di Parigi i sovranisti non riescono proprio a fidarsi. E vabbè. Ma pur negando quella ovvia convergenza d’interessi, altre strade si sarebbero potute percorrere. Magari, perché no?, anche poco convenzionali. La proposta di riforma del Patto di stabilità da parte della Commissione, ad esempio, scaturisce da un non-paper elaborato da Spagna e Olanda nello scorso aprile. Era, anche simbolicamente, una sintesi non banale tra il nordico fronte dei frugali e l’asse del Mediteranneo che chiedeva flessibilità. E non a caso Valdis Dombrovskis e Gentiloni – in una collaborazione tra commissari che era, di nuovo, la dimostrazione di uno sforzo di conciliare ciò che a fatica si conciliare, cioè il rigore lettone e il suo contrario, checché ne dica Meloni – sfruttarono quel dossier come base per definire la revisione del Patto. 

 

E però, con nessuno dei due paesi, sul tema, l’Italia ha intessuto alleanze reali. Ché la Spagna, si sa, era governata dal socialista Pedro Sánchez e a Palazzo Chigi si faceva il tifo per Vox, quindi figurarsi; l’Olanda di Mark Rutte, che pure per la prima volta da decenni aveva aderito a una posizione non inflessibile sul fronte dell’austerity, che pure assecondava Meloni nella sua missione impossibile in Tunisia, restava pur sempre l’infida Olanda (“per la legge del Fracassi, nel dubbio andare contro ai Paesi Bassi”, recita un vecchio mantra della diplomazia italiana spesso rievocato anche dai dirigenti di FdI). E quindi niente. Anzi. Non molto tempo fa, proprio commentando quel piano ispano-olandese, tra gli esponenti del governo italiano ci fu chi ironizzò sul fatto che si trattava di una “proposta fatta da due ministre dimissionarie”. Sennonché, per via delle complicatissime transizioni politiche a Madrid e all’Aia, sia Nadia Calviño sia Sigrid Kaag restano ancora in carica, e Giancarlo Giorgetti se le ritroverà al tavolo dei negoziati la prossima settimana, all’Ecofin di Santiago de Compostela, di cui la vicepremier spagnola sarà, di fatto, anche rappresentante della presidenza di turno del Consiglio dell’Ue.

 

E lì ritroverà, il ministro dell’Economia di Meloni, anche Christian Lindner, il liberale ministro delle Finanze tedesco che la proposta della Commissione sarebbe ben lieto di rimetterla in discussione, ma per virarla al rigorismo. Giorgetti si vanta spesso dell’amicizia di Lindner. E sarà pur reale quella simpatia umana tra i due, solo che non è in nome di quella che Lindner pare disposto a venire incontro alle istanze italiane. (E del resto, lo sapeva bene già Adam Smith, non è dalla benevolenza del fornaio che ci aspettiamo il pane.) E allora viene da chiedersi: ma in questo negoziato così proibitivo, non è che ad arrivarci senza una richiesta plausibile, senza un minimo di alleanze credibili, non è che poi lo incontra, il lupo?

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.