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I dossier

Bei, Bce, Mes, Patto di stabilità, Antiriciclaggio: Meloni deve definire le priorità italiane in Ue

Valerio Valentini

I dossier su cui l'Italia ha qualcosa da rivendicare a Bruxelles sono tanti. Il prossimo Ecofin potrebbe sciogliere alcune incognite ma Roma dovrà accettare alcuni compromessi

La presidenza della Banca europea degli investimenti, certo; ma anche il board della Bei; e poi l’Autorità per l’antiriciclaggio. E il Mes. E infine, ovvio, il Patto di stabilità. Su ognuno di questi delicati dossier, l’Italia ha qualcosa da rivendicare. Spesso molto. A volte perfino in solitaria. Se sia più confusione o sagacia negoziale, lo si capirà. E lo si capirà a breve: perché l’Ecofin del 15 e 16 settembre rischia di sciogliere le tante incognite tutte insieme. Questa, almeno, è la richiesta del governo tedesco, i cui consiglieri diplomatici hanno iniziato a sondare gli umori delle altre delegazioni. L’ipotesi è di estendere al massimo la durata del vertice dei ministri dell’Economia in programma a Santiago de Compostela. Il cammino dei negoziati finanziari europei inizia da qui.

E forse qui finirà pure, almeno nella sostanza. Perché Olaf Scholz vorrebbe che fosse quella l’occasione per risolvere tutti i problemi. La “logica di pacchetto” cara a Giorgia Meloni, ma in ottica tedesca. Una logica che, ovviamente, metterà alla prova, tra le altre, anche le ambizioni italiane. 

Giancarlo Giorgetti si troverà infatti a dover sostenere una serie di rivendicazioni italiane davvero notevoli. C’è anzitutto la questione della Bei. La candidatura di Daniele Franco resta, per il ministro dell’Economia, l’unica su cui puntare. Ma la distonia tra il Mef e Palazzo Chigi, dove si è vagliata l’ipotesi di dirottare l’ex ministro draghiano verso la Bce, non deve essere passata inosservata a Berlino. Tanto più che, oltre a Franco, c’è un altro italiano in ballo: quel Piero Cipollone che viene considerato il sostituto naturale di Fabio Panetta nel comitato esecutivo dell’Eurotower (e il primo a considerarlo tale è proprio Panetta, che a ottobre lascerà quell’avamposto per andare a dirigere la Banca d’Italia). Un italiano per un italiano: l’avvicendamento pare scontato, ma nessuna regola lo stabilisce. Dunque bisognerà trattare. E bisognerà farlo  anche per stabilire la sede della costituenda Autorità europea per l’antiriciclaggio: qui la candidatura di Roma, ufficializzata a luglio, mette in discussione l’ipotesi che pareva più accreditata: Francoforte.

Ora, rivendicare la centralità italiana nei negoziati europei è segno di vitalità da parte del governo. E quindi: why not? Viene però da chiedersi se, a fronte di tutte queste ambizioni, non sia il caso di dismettere puntigli che sembrano destinati, più che altro, a indebolire la posizione negoziale del governo Meloni. La ratifica del Mes, anzitutto: capriccio residuale della propaganda sovranista. E poi, in buona sostanza, anche il Patto di stabilità. La proposta della Commissione non sarà il massimo a cui l’Italia può aspirare, ma che sia un notevole passo avanti nell’archiviazione dei principi dell’austerity del recente passato dovrebbe essere provato, se non altro, dalla ferma contrarietà che la Germania vi oppone proprio perché troppo lasca sul fronte del rientro dal debito. Voler ottenere tutto, non è forse un buon modo per ottenere meno di quel che si potrebbe?

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.