Meloni, la "logica di pacchetto" sul Mes e il contropaccotto sul Patto di stabilità

Valerio Valentini

La mancata ratifica del Meccanismo europeo di stabilità doveva essere l'arma negoziale letale dell'Italia a Bruxelles. Ora che i negoziati sulle nuove regole fiscali arrivano al dunque, la propaganda patriottica non regge alla prova della realtà europea

Forse si sbaglia a pensare che credano davvero in quello che dicono. Perché Giorgia Meloni era stata chiara: la mancata ratifica del Mes serviva all’Italia per ottenere migliori condizioni sul Patto di stabilità. “La logica di pacchetto”, la chiamava la premier. E con lei mezzo governo. Matteo Salvini rivendicava la fermezza: “Vediamo, tra noi e Bruxelles, chi ha la testa più dura”. Antonio Tajani era quasi truculento, nella metafora: “Se pieghiamo la testa, ce la schiacciano”. Dunque la linea era chiara. Quando la trattativa sul Patto di stabilità arriverà nella fase decisiva, l’Italia avrà un’arma negoziale infallibile: il Mes. O forse no?

Il dubbio che in effetti i primi a non confidare in quella propaganda patriottica siano proprio loro che quella retorica l’hanno alimentata per mesi viene spontaneo, a sentire ora le dichiarazioni allarmate di Giancarlo Giorgetti e Raffaele Fitto. Il ministro dell’Economia ha auspicato la proroga della sospensione del Patto di stabilità per un altro anno. Come a certificare la mancanza di fiducia, da parte dello stesso governo italiano, nell’ottenere quei miglioramenti a lungo invocati da Meloni rispetto alla proposta avanzata dalla Commissione. E nel farlo, però, Giorgetti deve aver ignorato quel che Paolo Gentiloni gli ha poi opportunamente ricordato, e che pure a Via XX Settembre devono ben sapere: e cioè che l’ipotesi di un’ulteriore sospensione del Patto è alquanto improbabile, visto che la Germania era già contraria a prolungare il congelamento delle regole per il 2023.

Al che colpisce che la migliore prospettiva invocata da Giorgetti corrisponda a uno scenario che viene ritenuto improbabile da chi dovrebbe propiziarlo. Specie perché, poi, viene da chiedersi: ma  l’Italia sovranista non aveva l’arma letale del Mes, a disposizione? Ma non era proprio lui, Giorgetti, ad affermare la bontà dell’“approccio olistico”, nel luglio scorso? Non era lui, cioè, a dire che tenere insieme, nel “pacchetto”, “il dibattito sul Mes e quello sul Patto di stabilità e crescita” era “una logica esigenza di natura strategica a difesa dell’interesse nazionale”? Perché dunque non confidare, adesso, nell’efficacia di quell’“approccio olistico”?

Stessa domanda che sorge spontanea ad ascoltare Fitto. Il quale ha evocato una eventualità ancora peggiore: e cioè che senza un accordo sul nuovo Patto di stabilità, “il rischio è che subentrino le vecchie regole, con conseguenze complesse per l’Italia”. Dunque l’ipotesi tracciata da Giorgetti – puntare a una nuova proroga – viene considerata dal suo collega di governo non solo ardua, ma perfino pericolosa? E ancora: ma non è stato Fitto a spiegare per mesi che la mancata ratifica del Mes – unica, tra 20 stati aderenti al Meccanismo europeo di stabilità, a bloccare l’entrata in vigore definitiva del nuovo trattato – non solo non avrebbe in alcun modo compromesso le relazioni tra Roma e Bruxelles sul dossier del Pnrr, ma avrebbe perfino consentito all’Italia di “portare avanti le sue giuste richieste sul potenziamento degli investimenti strategici nel nuovo quadro regolatorio che si dovrà definire”?

Ieri, poi, e pure lui come i suoi colleghi dal palco del Meeting di Rimini, è arrivato anche Tajani a lanciare il suo allarme accorato sul Patto di stabilità. “E’ troppo rigorista”, ha sentenziato il ministro degli Esteri. “Dobbiamo impedire che anche il Patto di stabilità e crescita diventi un Patto che porti alla recessione”, ha insistito. Neppure lui, però, citando il Mes come l’asso nella manica che l’Italia può utilizzare in questo negoziato. E qui sì che si resta basiti, dacché era proprio Tajani, il 28 giugno scorso, a rivendicare l’opportunità del puntiglio italiano sul Fondo salva stati: “Certo che lo sappiamo che siamo gli unici a non ratificare il trattato. Ma questa è una trattativa politica. E noi dobbiamo tenere il punto per ottenere qualcosa su altri dossier, come l’Unione bancaria e il Patto di stabilità”. E dunque?

Tocca insomma confidare nella coerenza proverbiale di Meloni, a questo punto. Lei lo diceva “con serenità ma anche con chiarezza”, e sempre alla vigilia del Consiglio europeo di fine giugno: “Non reputo utile all’Italia alimentare in questa fase una polemica interna sul Mes. L’interesse dell’Italia oggi è affrontare il negoziato sulla nuova governance europea con un approccio a pacchetto, nel quale le regole del Patto di stabilità, il completamento dell’Unione bancaria e i meccanismi di salvaguardia finanziaria si discutano nel loro complesso”. Categorica, Donna Giorgia. “Perché prima ancora di una questione di merito c’è una questione di metodo su come si faccia a difendere l’interesse nazionale italiano”. Di qui la decisione: “Sarebbe stupido ratificare il Mes prima di avere un quadro definitivo sul nuovo Patto di stabilità”, diceva allora la premier. Di lì a poco, la Camera approvò una sospensiva di quattro mesi sulla proposta di ratifica: se ne dovrebbe riparlare – a meno di manovre alternative in Parlamento, sempre possibili – a novembre. E c’è da stare certi, dunque, che fintantoché l’Italia non darà il proprio consenso sul nuovo trattato del Mes, nessuno a Bruxelles si azzarderà a varare una riforma del Patto di stabilità che sia anche solo vagamente non gradita al governo Meloni. Ché altrimenti bisognerebbe ammettere – ma sarebbe assurdo, sarebbe davvero troppo poco patriottico – che più che “la logica del pacchetto”, la premier inseguiva quella del “doppio pacco e del contropaccotto”.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.