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L'editoriale del direttore

Povera, noiosa e poco identitaria. La prima manovra di Meloni è (quasi) perfetta

Claudio Cerasa

Il governo punta tutto su stabilità e credibilità. Ma ci sono almeno due cose su cui dovrebbe osare: giù le tasse e i figli

La prossima manovra economica sta catturando l’attenzione degli osservatori per le ragioni sbagliate: i dettagli. Ci si concentra molto su quello che il governo potrà spendere (poco). Ci si concentra molto su quello che il governo non potrà fare (tanto). Ci si concentra molto su quello che il governo sarà costretto a fare pur non volendolo fare (parecchio). Ma così facendo si perde di vista il vero tema della prossima manovra. Il vero filo conduttore. Il vero elemento rassicurante per l’Italia. Diciamolo: sarà una manovra terribilmente noiosa. Povera, scarna, poco identitaria. Ma il fatto che la prima vera manovra del governo Meloni prometta di avere queste caratteristiche più che rabbuiarci dovrebbe semplicemente rallegrarci. Cinicamente, si potrebbe dire che, viste le premesse populiste con cui questo governo è nato, il maggior successo per l’Italia sarebbe avere una manovra in cui la destra continui a fare quello che sta facendo. Cioè: poco o niente. Meno cinicamente, invece, si potrebbe dire che, vista la fase in cui si trova oggi l’Italia, il maggior successo per il nostro paese sarebbe avere una manovra costruita per governare l’esistente e custodire con forza il vero tesoretto che si trova oggi in Italia. Il suo vero punto di forza. Il vero elemento che potrebbe rendere il nostro paese attrattivo: la sua stabilità.

Per stabilità, naturalmente, non si intende unicamente la solidità della maggioranza. Ma si intende qualcosa di più complesso, di sistemico. L’Italia è stabile, anche agli occhi degli investitori, perché il debito è sotto controllo, perché il rapporto con l’Europa è consolidato, perché il perimetro atlantista è confermato, perché la traiettoria imboccata con il Pnrr è considerata non reversibile da tutte le forze presenti in Parlamento. La manovra più importante a cui l’Italia può lavorare oggi, più quella che il ministro Giancarlo Giorgetti presenterà a ottobre, è una manovra minimal, finalizzata a rafforzare la reputazione, la credibilità e l’affidabilità dell’Italia. Una manovra minimal non sarebbe solo una manovra che non faccia danni. Ma sarebbe una manovra che lascerebbe intendere un’intenzione chiara: considerare i fondi europei e il programma del Pnrr come il vero vettore su cui costruire il futuro dell’Italia. Sarebbe una svolta copernicana. Sarebbe un modo per dire: io stato faccio quello che posso per mantenere alta la reputazione del paese in termini di stabilità (e non fare nulla o quasi sarebbe già fare molto per il futuro dell’Italia) e cerco di non mettere i bastoni tra le ruote ai privati per provare a stimolare la loro crescita e liberare alcune energie inespresse come suggerisce il nostro Nicola Rossi (e dunque non salario minimo, ma rafforzamento della contrattazione; non sussidi al Mezzogiorno ma drastici interventi sugli ostacoli burocratici e fiscali del sud; non nuove politiche sui bonus, ma stimoli fiscali, rafforzamento del codice appalti, politiche per l’attrazione di capitali e di cervelli dall’estero).

Poi certo, se volessimo fare due passi nei dettagli, qualcosa da dire ci sarebbe. E lo schema di gioco che si indovina all’orizzonte sembra essere già scritto. Qualcosina per alzare la manina e dire: ehi, siamo amici delle imprese. Qualcosina per alzare la manina e dire: ehi, siamo amici dei più deboli. Qualcosa per alzare la manina e dire: ehi, abbiamo fatto del nostro meglio per abbassare le tasse. Qualcosa per alzare la manina e dire: ehi, abbiamo tutelato i nostri piccoli commercianti dalle minacce veicolate dalle grandi multinazionali. Qualcosa, infine, da usare per sventolare qualche bandierina e permettere a Salvini di alzare la manina anche lui e dire: ehi, guardate, la Lega ha vinto, il Matteo ha trionfato, guardate bene e scoprirete che c’è anche il nostro zampino!

Nulla di strano, nulla di drammatico, nulla di clamoroso, se non fosse che se proprio il governo volesse dedicare del tempo a occuparsi di qualcosa che potrebbe fare senza tradire troppo i suoi ideali avrebbe di fronte a sé due strade da seguire. Senza timidezza, senza fronzoli e con un po’ di coraggio. Due idee, due proposte, due temi reali. Di destra. Non si può chiedere, purtroppo, a Meloni e Salvini, che hanno costruito la loro ultima campagna elettorale considerando come un totem da abbattere il discorso sulla concorrenza fatto da Mario Draghi in Parlamento nel luglio dello scorso anno, di puntare tutto sulla competizione del mercato per risanare l’Italia. Si può chiedere loro però di essere per una volta coerenti su alcune questioni reali. Per dirne una: il governo vuole lavorare davvero sulla demografia? Bene. E allora piuttosto che proporre idee timide, scombiccherate e incomprensibili come quelle suggerite due giorni fa (agevolazioni fiscali per chi ha almeno tre figli) il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti dovrebbe tornare alla sua proposta iniziale, quella anticipata dal Foglio: niente tasse a chi fa figli. Quali tasse? Poi si vedrà. Messaggi forti, direzione chiara, idee concrete.

Un secondo punto, altrettanto identitario, ed è quello che riguarda uno dei cavalli di battaglia del centrodestra: le tasse. Sarebbe mortificante per il centrodestra considerare sufficiente, sul tema delle tasse, la semplice conferma del piccolo taglio temporaneo al cuneo fiscale previsto per quest’anno. Sarebbe invece esaltante pensare che il centrodestra, se davvero fosse convinto di dare uno stimolo all’economia riducendo in modo robusto la pressione fiscale, decidesse di fare quello che il Foglio ha suggerito qualche settimana fa: destinare due punti di pil a un taglio robusto delle tasse non facendo più debito, come ha tentato di fare senza successo l’ex premier britannica conservatrice Liz Truss, ma tagliando le spese e destinando qualche soldino in meno alle marchette sulle pensioni. Nulla di questo probabilmente succederà.

Sarà una manovra banalotta, sarà una manovra che dovrà governare l’esistente, sarà una manovra che dovrà occuparsi dell’ordinario. Sarà probabilmente una manovra che farà perdere qualche occasione all’Italia, senza un po’ di creatività, ma se di fronte a noi, tra un mese o poco più, avremo una manovra noiosa, fortemente decisa a non creare guai, ci saranno buone ragioni per non concentrarsi sui dettagli e per allagare l’inquadratura. La manovra più importante che l’Italia può fare è lavorare sul senso di affidabilità. E vista la confusione che regna in Europa può bastare questo, per il momento, insieme con i soldi europei e le riforme imposte dal Pnrr, per rendere l’Italia un posto speciale su cui scommettere a lungo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.