l'editoriale del direttore

Ecco il piano del governo per un reset con la Cina

Claudio Cerasa

Uscire dalla via della Seta a settembre, con nuovi accordi commerciali e senza tafazzismo. Informazioni inedite sul percorso 

Uscire dalla Via della seta senza darsi delle sportellate in mezzo alle gambe e utilizzando la nuova stagione dei rapporti con la Cina per rafforzare gli accordi commerciali. Alla fine del suo viaggio negli Stati Uniti, il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni ha riconosciuto di aver inserito all’interno della sua agenda di governo il tema della risoluzione del Memorandum of Understanding che l’Italia, ai tempi della triade Conte-Salvini-Di Maio, scelse clamorosamente di sottoscrivere con il presidente cinese Xi Jinping (“mister Ping” per Di Maio). Meloni ha detto, vagamente, di voler “prendere una decisione prima di dicembre”. Ma come arrivare a quell’obiettivo non è invece chiaro.

 

Negli ultimi giorni, il Foglio ha raccolto alcune informazioni inedite, in ambienti di governo, e ha ricostruito come avverrà il percorso che porterà l’Italia fuori dalla Via della seta. Il tema non è più il se, come ha riconosciuto anche il ministro della Difesa, Guido Crosetto, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera di domenica, ma è il come e il quando.

 

Iniziamo da qui: dal quando. Il memorandum scade il 24 marzo 2024, a cinque anni dalla firma, ma si intende rinnovato automaticamente se nessuna delle due parti comunicherà la volontà di uscirne almeno tre mesi prima della scadenza. La data ultima per disdire l’accordo è dunque il 23 dicembre. Il governo Meloni, secondo quanto raccolto dal Foglio, ha intenzione di chiudere la partita prima dell’annunciato viaggio del presidente del Consiglio in Cina (che avverrà tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre: il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha già fissato per settembre un viaggio a Pechino con una folta delegazione). E dunque già a settembre l’accordo verrà di fatto stracciato. Lo staff diplomatico di Palazzo Chigi ha già concordato i tempi dell’uscita con il governo cinese e lo stesso governo cinese ha comunicato in via informale la sua disponibilità a cancellare l’accordo senza ritorsioni. E la presenza di un dialogo costruttivo sul tema emerge con chiarezza da una nota pubblicata ieri dal ministero degli Affari esteri cinese, che rispondendo alle affermazioni di Crosetto si è limitato a dire, in tono non minaccioso, che “sfruttare ulteriormente il potenziale della cooperazione Belt and Road è negli interessi di entrambe le parti”.

 

Già, ma cosa c’è oltre la Via della seta? Al posto del Memorandum of Understanding, l’Italia punta a creare nuovi accordi commerciali con la Cina. Sul modello messo in campo da Emmanuel Macron lo scorso 7 aprile, quando il presidente francese annunciò 18 accordi firmati da 36 imprese cinesi e francesi per “espandere la cooperazione in settori quali la produzione, lo sviluppo verde, le nuove energie e l’innovazione”. Migliorare gli accordi previsti nel Memorandum non sarà difficile. Come scritto venerdì scorso sul Foglio da Federico Bosco, la quota di mercato dell’Italia in Cina è rimasta costante (e relativamente bassa) intorno all’1,1 per cento dal 2020, scendendo allo 0,99 per cento nel 2022 (il valore totale dell’interscambio bilaterale vale 78 miliardi nel 2022, quello francese 81,33 miliardi di dollari).

 

L’uscita dell’Italia dalla Via della seta (a proposito, a Washington il presidente Biden ha annunciato l’ingresso dell’Italia nell’equivalente americana della Belt and Road: la Blue Dot Network) non è solo una questione che riguarda il futuro diplomatico dell’Italia. Ma è una questione che riguarda l’Europa intera. E il tema è evidente: come fare affari con la Cina senza farsi condizionare dalla Cina e senza illudersi che sia possibile chiudere i ponti con un paese che dal 2020 è il primo partner commerciale dell’Unione europea? Copiare Biden, studiare Macron, riallinearsi al resto dell’Europa. Vale per la Cina, ma vale anche per tutto il resto. E non sbaglia chi dice che oggi il futuro della leadership di Meloni in fondo passa anche da qui.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.