(foto EPA)

l'editoriale del direttore

Meloni e le ragioni per rinnegare Trump in America

Claudio Cerasa

L’abbraccio tra Biden e la premier avrà un significato importante non solo per ciò che si deciderà su Cina e Tunisia (e Fmi) ma anche sull’impatto che avrà sull’allontanamento dalla “via della setta” del trumpismo. Il futuro di un’agenda

Esiste al mondo una coppia politica più improbabile e più sorprendente rispetto a quella che si incontrerà oggi a Washington? C’è un dato importante e curioso che rende il viaggio in America di Giorgia Meloni, alla Casa Bianca, molto diverso rispetto a quelli realizzati da alcuni suoi predecessori. Nel recente passato, gli incontri tra i capi di governo del nostro paese e i presidenti degli Stati Uniti sono stati, salvo rarissime eccezioni, politicamente scontati. Schema: io premier italiano vado alla Casa Bianca per rafforzare la mia relazione con il presidente americano e per dimostrare che l’amicizia tra il nostro paese e gli Stati Uniti è più forte che mai. Negli ultimi anni, le visite dei capi di governo, negli Stati Uniti, hanno generalmente rafforzato qualcosa di scontato. La visita di oggi, tra Giorgia Meloni e Joe Biden, andrà invece a certificare qualcosa di inaspettato. Non c’è nulla di sorprendente nel vedere confermata l’amicizia tra l’Italia e gli Stati Uniti.

 

C’è qualcosa invece di sbalorditivo nel vedere confermata la relazione speciale che esiste tra il democratico e anti trumpiano Joe Biden e la conservatrice e teoricamente trumpiana Giorgia Meloni. Nella giornata di oggi, Biden e Meloni parleranno ovviamente di Ucraina, delle relazioni tra l’Unione europea e gli Stati Uniti, del destino della Via della Seta, delle tensioni in Serbia e Kosovo, del caso Chico Forti e ovviamente della Tunisia, sul cui dossier Meloni cercherà di ottenere dal presidente americano un aiuto a liberare i prestiti del Fondo monetario, provando a renderli meno legati al piano di riforme presentato dal Fmi al presidente tunisino Kais Saied e provando così a sbloccare anche i finanziamenti promessi alla Tunisia dall’Unione europea (ma legati alle decisioni del Fmi). Ma agenda politica ed economica a parte, ciò che conta molto nell’incontro tra Meloni e Biden è anche qualcosa di diverso, di meno materiale, che riguarda un tema che ha un carattere fortemente simbolico.

 

C’è stato un tempo in cui per la destra meloniana il modello Biden era tutto quello contro cui valeva la pena combattere (la dittatura sanitaria, il politicamente corretto, l’atlantismo sfrenato, il globalismo scellerato, il multilateralismo sciagurato). Quel tempo oggi – un tempo durante il quale Meloni sosteneva che la dottrina Trump fosse “un insegnamento costante” per la destra italiana (febbraio 2020) – è stato sostituito da un approccio totalmente diverso. Un approccio all’interno del quale, magicamente, Biden è diventato lo specchio di tutto quello che la nuova Meloni non può più permettersi di essere. E quando Meloni vede Biden, è probabile che la premier italiana, come di fronte a uno specchio imprevisto, si ricordi di quanto sia impossibile oggi dirsi contemporaneamente trumpiani e sostenitori dell’Ucraina, di quanto sia impossibile oggi dirsi sovranisti e sostenitori del rafforzamento del multilateralismo, di quanto sia inevitabile oggi essere sostenitori di un modello americano desideroso non di rinchiudersi nei propri confini (Make America Great Again) ma di mettersi a disposizione della difesa del mondo libero. La scommessa fatta da Meloni di puntare forte su una politica estera atlantista, anti putiniana e persino europeista ha avvicinato la premier italiana ai suoi avversari di un tempo (come Biden) e l’ha allontanata inevitabilmente dai suoi amici di un tempo (come Trump). E l’abbraccio di oggi alla Casa Bianca avrà un significato importante non solo per quello che si deciderà sulla Via della seta ma anche sull’impatto che avrà l’incrocio di agende tra Biden e Meloni in merito all’allontanamento progressivo del melonismo dalla “via della setta”: quella del trumpismo. E dunque la domanda è lecita: esiste al mondo una coppia politica più improbabile e più sorprendente rispetto a quella che si incontrerà oggi a Washington? Buono spettacolo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.