Biliardo Giorgia
Come convincere il Fmi a dare 1,9 miliardi a Tunisi ed evitare l'esodo di immigrati. Il piano di Meloni
Con il memorandum Ue-Tunisia, la premier mostra che l'Europa si muove insieme e dà un primo finanziamento a Saied nella speranza che il Fondo monetario faccia altrettanto. Prossimo passaggio: il 27 luglio l'incontro alla Casa bianca con il presidente Joe Biden
Quello di Giorgia Meloni è un gioco di sponda. Il memorandum d’intesa con la Tunisia firmato due giorni fa dalla presidente del Consiglio, insieme alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen e al premier olandese Mark Rutte è un colpo di biliardo geopolitico che, se sortisse il suo effetto, rappresenterebbe un grande successo. L’obiettivo tacito ma chiaro è quello di convincere il Fmi a sbloccare il maxi prestito da 1,9 miliardi essenziale per evitare che in autunno il paese del Nord Africa, colpito duramente dall’inflazione dei beni alimentari e dal caro carburante, rischi il default, aggravando ulteriormente una situazione già molto complicata, con il rischio di un esodo di migranti verso le coste italiane.
Le cifre del memorandum sono molto più basse. Centocinquanta milioni di aiuto al bilancio tunisino e altri 105 per sostenere la Tunisia nella gestione dei flussi migratori e per il rimpatrio dei migranti irregolari. A palazzo Chigi sognavano da subito lo sblocco di 900 milioni di finanziamenti europei, ma vedono comunque il bicchiere mezzo pieno. Al di là delle cifre la missione di due giorni fa ha mostrato due cose. La prima: Meloni ha convinto l’Ue, seppur con una cifra minore, ad agire senza aspettare il Fmi, fornendo al bilancio di Tunisi 150 milioni non vincolati. La seconda è legata all’immagine che è giunta al mondo: l’Unione si è mostrata in tutta la sua compattezza. Nel palazzo presidenziale di Cartagine c’erano il vertice politico della Ue, la presidente della commissione Ursula von der Leyen, il leader di un paese mediterraneo, Giorgia Meloni, ma anche il premier di un paese frugale, l’olandese Mark Rutte. Tutti insieme per tendere la mano a Saied.
Con una collaborazione basata su più pilastri – stabilità macroeconomica, commercio e investimenti, transizione energetica verde, contatti interpersonali e migrazioni – per contribuire a stabilizzare l’economia tunisina e avvicinare Nord Africa ed Europa. Un modello che Meloni sogna di replicare anche con altri stati. La Tunisia però è l’urgenza. Lo dicono i numeri. Da inizio 2023 al 14 luglio, secondo i dati del Viminale, su 75 mila arrivi oltre la metà, 43.500, arrivano dalla Tunisia, quasi quintuplicati rispetto al 2022, quando gli arrivi dalle coste tunisine erano stati poco più di 7 mila. Insomma, la crisi nel paese nordafricano rischia di essere un problema enorme per l’Italia. In questi giorni il sistema di accoglienza, con oltre 130 mila persone già nel circuito, è andato in affanno. Da destra a sinistra, sindaci e governatori guardano all’accordo con favore. “Tutto ciò che può agevolare l’accoglienza e diminuire il flusso dell’immigrazione è positivo”, diceva ad esempio ieri il governatore pd della Toscana Eugenio Giani. E anche la segretaria Elly Schlein sull’argomento è rimasta in un eloquente silenzio.
Ma quali sono le prossime tappe della strategia di Meloni? Il primo importantissimo appuntamento sarà il prossimo 27 luglio a Washington (dove ha sede anche il Fmi). La presidente del Consiglio incontrerà il presidente americano Joe Biden. La premier, consapevole del peso americano dentro all’organizzazione, non mancherà di ricordare la situazione tunisina. D’altronde l’instabilità del Nord Africa s’inserisce in un contesto geopolitico più complesso. Ieri la Russia ha annunciato che non sarà rinnovato l’accordo per far transitare il grano ucraino dal Mar Nero. Per Egitto e Tunisia – che importavano da Russia e Ucraina quasi la totalità del proprio fabbisogno – si tratta di una notizia devastante. Se lo stallo tra Fmi e Tunisia non si risolvesse lo stesso, la cornice tracciata dal memorandum fornisce alla Ue uno strumento per fare da sola, finanziando direttamente la Tunisia.
L'editoriale del direttore