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Il dialogo

Biden e Meloni sono in sintonia, sulla Via della Seta Washington vuole garanzie

Marco Bardazzi

Il governo italiano è riuscito a guadagnare ampio credito negli Stati Uniti. Così la presidente del Consiglio sta ribaltando le critiche e lo scetticismo iniziale

C’è una sintonia che non era nelle previsioni. C’è rispetto e voglia di lavorare insieme. C’è sorpresa, in positivo, per il basso profilo tenuto finora dal governo italiano sui temi delle guerre culturali che spaccano l’America, che avrebbero potuto complicare il dialogo. C’è ammirazione per la posizione sull’Ucraina e per il peso in Europa. C’è insomma una forte linea di credito aperta a Washington per l’Italia, che ha portato a sdoganare la tanto attesa visita di Giorgia Meloni alla Casa Bianca. Ma a Palazzo Chigi faranno bene a non lasciarsi prendere troppo la mano dalla narrazione retorica dell’amicizia tra i due paesi e del grande feeling nato tra la presidente del Consiglio e Joe Biden.

L’America è pragmatica e anche spietata. Se non vede risultati chiari, è pronta a cambiare rapidamente atteggiamento per difendere i propri interessi e l’Italia da questo punto di vista resterà un osservato speciale anche dopo gli abbracci del prossimo 27 luglio alla Casa Bianca. I riflettori saranno puntati su vari dossier: come proseguirà l’impegno sulla guerra in Ucraina; come verrà preparata la presidenza italiana del G7; e soprattutto, come e quando l’Italia si sfilerà dall’accordo sulla Belt and Road cinese firmato nel 2019 dal governo Conte. A Washington, al dipartimento di Stato, negli ambienti diplomatici e nei desk europei dei centri studi, si condivide la convinzione che sulla Cina le rassicurazioni date dall’Italia all’Amministrazione Biden siano state precise e dettagliate. In caso contrario, non sarebbe mai arrivato l’invito della Casa Bianca. E le promesse dovranno diventare realtà entro dicembre, trasformandosi in un addio dell’Italia alla Via della Seta, per un motivo molto semplice: Giorgia Meloni e il suo governo avranno la presidenza del G7 nell’anno in cui Joe Biden si gioca la rielezione alla Casa Bianca e per questo saranno super monitorati. Nella Washington democratica non è immaginabile che il presidente si rechi al vertice del giugno del 2024 in Puglia, nel pieno di una campagna elettorale in cui la Cina sarà un tema chiave, come ospite dell’unico paese del G7 che aderisce alla Belt and Road. 

La buona notizia per il governo italiano è comunque l’ampio credito che è riuscito a conquistare a Washington, ribaltando le critiche e lo scetticismo iniziale. In questi giorni l’ambasciata italiana ha ospitato una conferenza dell’Aspen Institute, con personalità italiane e statunitensi a confronto sullo stato di salute dell’occidente. Gli ospiti dell’ambasciatrice Mariangela Zappia e del presidente di Aspen Italia Giulio Tremonti, a margine della conferenza, hanno discusso molto dei rapporti Italia-America e il bilancio è risultato sostanzialmente positivo. Con qualche red flag però non secondaria. Sicuramente Giorgia Meloni ha cancellato i timori dei giorni dopo le elezioni italiane, quando negli Stati Uniti dominava la narrazione del “ritorno dei fascisti”. Allo stesso tempo, se la presidente del Consiglio raccoglie buoni voti, non altrettanto si può dire della sua squadra. Il timore maggiore che si registra a Washington è che, al di là dell’impegno della premier, manchi lo spessore per fare dell’Italia un punto di riferimento sicuro in un’Europa che mai come oggi gode di ammirazione nella capitale americana. 

Mai era accaduto che un’Amministrazione americana decidesse di seguire la linea della Commissione europea su un tema di peso mondiale come i rapporti con la Cina. Eppure il “derisking” introdotto da Ursula von der Leyen è diventato la policy ufficiale della Casa Bianca. Da Washington si guarda con più attenzione che in passato a Bruxelles, che ha stupito positivamente tutti per la risposta che ha dato sull’Ucraina. In questo scenario, con il dipartimento di stato preoccupato per il futuro dei rapporti Francia-Germania, all’Italia potrebbe toccare un ruolo più importante, come era già avvenuto con Mario Draghi. Ma c’è il timore che, Meloni a parte, il resto del team non sia poi così solido e preparato. Le recenti visite a Washington dei ministri Antonio Tajani, Guido Crosetto e Adolfo Urso non sono bastate a rassicurare in questo senso. Si vedrà se il vertice alla Casa Bianca cambierà la percezione. Sullo sfondo resta poi il rischio che prima o poi si accenda qualche tensione sui temi identitari. Per ora l’America democratica chiude un occhio sulla posizione italiana sull’immigrazione. In altri momenti, gli interventi pubblici che sta facendo in questi giorni negli Stati Uniti il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, avrebbero sollevato un vespaio, per come sta descrivendo i piani del governo per gli hotspot del futuro. Ma sui migranti l’Amministrazione Biden ha i suoi problemi lungo il confine con il Messico, quindi non si mette certo a criticare l’Italia.

Più delicata sarà la situazione quando si comincerà a parlare di temi come aborto e diritti Lgbtq. Qui qualche scintilla potrebbe sorgere, anche perché sta (finalmente) per arrivare in Italia il nuovo ambasciatore americano, Jack Markell, ex governatore del Delaware e amico personale di Biden. L’audizione per la sua conferma al Congresso giorni fa è andata bene, ma l’ingorgo legislativo che vive in questo periodo Capitol Hill rende difficile immaginare che la conferma di Markell arriverà in tempo per la visita di Giorgia Meloni. La scelta di nominare un rappresentante diplomatico a Roma, dopo due anni di sede vacante, è un altro segnale dell’apertura di credito della Casa Bianca nei confronti del governo. Ma quando il nuovo ambasciatore prenderà possesso di Villa Taverna ci sarà da tenere le antenne dritte: per una volta si tratta di un politico e non di un donatore della Casa Bianca premiato con un periodo a Roma a organizzare ricevimenti. Le idee di Markell (e di Biden) in tema di diritti potrebbero rompere l’idillio attuale, perché da governatore ha varato leggi che sono agli antipodi rispetto al centrodestra italiano.

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