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la lettera

Il salario minimo non è la panacea ma può aiutare a risolvere molti guai

Riccardo Magi

La norma voluta dalle opposizioni non è in contrasto con la contrattazione collettiva né deve essere vista come la soluzione definitiva ai salari bassi. Ma qualche passo in più lo fa fare. Ci scrive il segretario di +Europa

Al direttore - L’introduzione di un salario minimo orario non deve essere vista né in contrapposizione alla contrattazione collettiva né come una definitiva risoluzione all’atavica questione della stagnazione salariale italiana. Il testo di legge sottoscritto da quasi tutti i gruppi di opposizione punta ad estendere erga omnes i trattamenti economici complessivi dei contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e datoriali effettivamente rappresentative e introduce il principio che la retribuzione minima percepita non possa essere inferiore a 9 euro orari, ovvero circa 1.550 euro lordi per un contratto full time.

Ad oggi dei circa 200 ccnl sottoscritti dalle organizzazioni rappresentative poche decine prevedono ancora che gli ultimi inquadramenti, quelli più bassi, dove sono occupati una ristretta minoranza di persone, siano sotto i 9 euro e comunque sono contratti scaduti. La maggior parte delle retribuzioni minime, al netto di tutte le indennità aggiuntive previste dai ccnl, si attestano nella fascia fra gli 8.6 e 8.99 euro e quindi richiederebbero un sforzo economico da parte delle imprese davvero modesto per raggiungere i 9 euro. Dunque un’estensione erga omnes dei trattamenti economici complessivi come sopra scritto rafforzata da un minimo di 9 euro più che un affronto rappresenta una stampella per la contrattazione collettiva di qualità che invece oggi, in presenza di una molteplicità di contratti collettivi “poveri”, rischia di generare una concorrenza sleale non più fra contratti collettivi cosiddetti pirata ma anche fra contratti collettivi sottoscritti dalle diverse categorie di Cgil, Cisl e Uil. Il salario minimo è  condizione necessaria ma ampiamente insufficiente a garantire però paghe decorose. Ad esempio in Italia una stretta sul falso part time potrebbe essere un elemento necessario giacché oltre il 60% dei dipendenti parti time lo è involontariamente, ovvero gli viene imposto e non è una libera scelta per conciliare vita e lavoro.

 

Tuttavia una proposta politica organica, di innovazione del lavoro e del modo di fare impresa non può limitarsi a sostenere le retribuzioni bassissime, urge infatti occuparsi della sterminata platea di lavoratori dipendenti con salari sopra i 9 euro del salario minimo ma nettamente inferiori rispetto ai colleghi francesi e tedeschi. Oggi in Italia la retribuzioni mediana lorda annua si attesta sui 34 mila euro, contro i 38 mila della media europea, i 37 mila francesi ed i 44 mila tedeschi. Appare chiaro che per colmare il gap proposte sbrigative non esistono, ma occorre un lavoro di lunga lena di analisi del nuovo status quo sociale ed economico di e proposte innovative che superino vecchi preconcetti che sembrano ancora animare il dibattito tanto nella sinistra massimalista (o velleitaria) quanto nei sedicenti riformisti innamorati ancora di un’epoca tramontata da tempo. Se sul salario minimo l’opposizione – al netto della defezione tutta tattica di Renzi, che in passato aveva sostenuto a più riprese la misura al punto da inserirla nel proprio programma elettorale del 2018 con un importo elettoralisticamente indicato addirittura a 10 euro – si è ricompattata, auspichiamo che si converga anche su un lavoro più ampio e articolato e non ci si limiti a proposte spot ancorché condivisibili.

Riccardo Magi, segretario di +Europa 

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