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editoriali

Perché ha ragione Renzi a non accodarsi al carrozzone sul salario minimo

Redazione

Il problema dei bassi salari non è lo stesso del salario minimo. Mischiare le due cose può servire a raccattare (pochi) applausi e agire da collante identitario per una sinistra in cerca d’autore, ma non fa bene né ai lavoratori né ai sindacati

Che faccio signo’, lascio? L’intero dibattito sull’introduzione di un salario minimo si è giocato sul terreno più improprio, cioè dove posizionare l’asticella. Non stupisce, allora, che l’accordo siglato ieri dalle opposizioni ruoti interamente e unicamente attorno al numero magico (nove euro). La cifra coincide con le proposte depositate da Azione (primo firmatario Matteo Richetti) e Movimento 5 stelle (Giuseppe Conte) ed è inferiore ai 9,5 euro suggeriti dal Partito democratico (Andrea Orlando) e ai 10 euro dell’alleanza Verdi-Sinistra (Nicola Fratoianni e Francesco Mari). Corrisponde a circa il 75 per cento del salario mediano: se fosse approvata, solo due paesi Ocse avrebbero una soglia superiore (la Colombia e il Cile). Ma, soprattutto, il quantum dovrebbe essere il punto di arrivo, non quello di partenza: nei paesi che hanno una legge sul salario minimo, come la Germania, si tratta in genere di una decisione tecnica, non politica, e certamente non viene scolpita in un voto del Parlamento (il Foglio, 27 giugno).

 

Da questo punto di vista, ha fatto non bene, ma benissimo Matteo Renzi a sfilarsi: il leader di Italia viva sta giocando certo una partita di posizionamento politico, essendo l’unico a porsi al di fuori del campo largo, ma dà anche voce a una obiezione nel merito. Il fatto è che il problema dei bassi salari non è lo stesso del salario minimo; l’uno riguarda le dinamiche del mercato del lavoro italiano, l’altro le modalità di determinazione dei minimi tabellari e la effettiva rappresentatività delle parti sociali. Mischiare le due cose può servire a raccattare (pochi) applausi e agire da collante identitario per una sinistra in cerca d’autore, ma non fa bene né ai lavoratori (che infatti se ne disinteressano), né ai sindacati (che non nascondono le perplessità), né al paese (che ha un tremendo bisogno di serietà). Tre hurrà per Matteo Renzi che si è sottratto all’imperativo del “di qua o di là” e ha rivendicato la necessità di confrontarsi sulle proposte per ciò che esse sono e non per quello che rappresentano.

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