(foto LaPresse)

Il caso

Calderone, ma anche Nordio e Piantedosi. Ecco i ministri vice dei loro vice

Luca Roberto

Il governo vara il decreto sul Lavoro, ma fa saltare la conferenza stampa della ministra (oscurata dal protagonismo di Durigon). I casi speculari di Giustizia e Interno, dove la ribalta se la prendono i sottosegretari

Siccome volevano che si notasse, la smettesse di passare inosservata, l’hanno mandata a incontrare la stampa in mezzo alla piazza. Esterno giorno del primo maggio, sotto Palazzo Chigi, non troppo distanti dalla colonna di Marco Aurelio. Il governo ha appena licenziato in Consiglio dei ministri (quello convocato nella Giornata dei lavoratori, con grande scorno dei sindacati) il nuovo pacchetto di misure sul lavoro. Rifinanziamento al taglio del cuneo fiscale, regole aggiuntive sui contratti a termine, rafforzamento dei protocolli per gli infortuni sul lavoro, revisione del Reddito di cittadinanza. Tutte questioni su cui il ministro competente è Marina Elvira Calderone, una figura tecnica all’interno della nuova compagine governativa. Sarebbe una grande occasione per farne risplendere le ore di lavoro certosino, di confronto con le parti sociali. Per concederle onori e luci dei riflettori. E invece cosa decide di fare, Giorgia Meloni? Di saltare la conferenza stampa, nonostante in passato l’abbia organizzata pure quando all’appuntamento si presentavano solo ministri come Squillaci e Lollobrigida, dando mandato alla Calderone di “scendere in piazza” per fare dichiarazioni e prendere qualche domanda. Al punto che più di qualche cronista lì per lì ha un po' mugugnato: “Ma non fate prima a farci salire nella sala polivalente?”. E dire che lunedì a Roma era pure giornata di pioggia.

 

Quello che abbiamo raccontato è solo un esempio, ma è emblematico di una tendenza che si protrae ormai sin dalla nascita del governo Meloni. E cioè l’evidente confusione che fa sembrare alcuni ministri i vice dei loro vice e i sottoposti i veri titolari del dicastero. Prendiamo l’esempio del Lavoro. Come sottosegretario vi opera il ruspante senatore della Lega, il laziale Claudio Durigon. Nei giorni e nelle settimane immediatamente precedenti al varo del decreto governativo era tutto un profluvio di dichiarazioni. E allora “aiuteremo chi punta sulla formazione”, spiegava intervistato dal Corriere della sera Durigon. “Già lunedì porteremo a casa risposte sulla sicurezza del lavoro”, diceva intervenendo a un dibattito dei sindacati autonomi del lavoratori. E nelle stesse ore come sceglieva di presidiare il suo ministero Calderone? Limitandosi a rilasciare delle note istituzionali o preferendo intervenire nelle paludose commissioni parlamentari competenti. Sarà anche per questo mancato protagonismo che secondo un sondaggio Swg di metà aprile è la ministra meno apprezzata dagli italiani? 

 

Non sono valutazioni di merito, sia chiaro. Perché molti, anche al di fuori del perimetro della maggioranza, apprezzano e condividono, ad esempio, la visione del ministro della Giustizia Carlo Nordio. Ma anche lì, siamo proprio sicuri che tutti abbiano capito appieno il suo ruolo di preminenza in Via Arenula? Nelle settimane delle intercettazioni riguardanti Alfredo Cospito, usate in Aula dal deputato di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli per attaccare il Partito democratico, l’esponente di governo più sondato da televisioni e giornali era pur sempre Andrea Delmastro delle Vedove, il sottosegretario coinquilino, colui da cui sempre sembra emanare la linea che il governo seguirà in materia giudiziaria. E infatti che si parli di riforma delle intercettazioni, del processo penale, di prescrizione, di abolizione del reato di abuso d’ufficio, le volontà del ministro ex magistrato sembrano sempre doversi contemperare con i desiderata del suo secondo, che infatti è stato messo lì anche per frenare gli impulsi del suo diretto superiore, refrattario agli ordini di partito.

 

Ma c’è un ulteriore caso di studio che merita di essere approfondito, in questa maggioranza. E riguarda il Viminale. Quando un paio di settimane fa il Parlamento ha dato il via libera al Dl Cutro, che vara una nuova stretta sulle politiche migratorie, il sottosegretario leghista Nicola Molteni non ha nascosto la sua contentezza: “Con questo voto si torna alla logica dei decreti sicurezza”. Cosa che Piantedosi, almeno formalmente, almeno per quel che riguarda la soppressione della protezione umanitaria, si diceva contrario, e in linea semmai con la cautela raccomandata dal Quirinale. E’ poi finita come si sa: col cedimento del ministro di fronte alle rivendicazioni politiche del suo sottosegretario (e del partito che, in teoria, esprimerebbe entrambi, cioè la Lega). Solo che così i ministri finiscono per sembrare i vice dei loro vice.