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Il caso

Fedriga scrive a Fitto: “Coi fondi europei così non va"

Valerio Valentini

La Conferenza delle regioni (che chiede i soldi e chiarezza nei rapporti tra il governo e gli enti locali) convoca il ministro: ritardi nell’assegnazione delle risorse e troppo centralismo

Una lettera per certificare il dissidio. E si capisce, visto che in ballo ci sono quasi 27 miliardi. Semmai, colpisce che ad aprire il fuoco contro il governo sovranista sia quella Conferenza delle regioni che è ad assoluta trazione destrorsa ed è guidata dal leghista Massimiliano Fedriga. La firma in calce al dispaccio è proprio la sua: del governatore del Friuli appena rieletto da un plebiscito. Il destinatario è invece Raffaele Fitto, ministro plenipotenziario dalle deleghe sterminate. Il quale, nella sua opera – forse titanica, forse velleitaria, sicuramente controversa – di riorganizzazione dei fondi europei, ha finito col fare arrabbiare i presidenti di regioni. Tutti, se è vero che al termine di una riunione assai burrascosa, mercoledì scorso, si è deciso di approvare all’unanimità la mozione bellicosa: convocare il ministro, e subito. 


Chiedono i soldi, le regioni. E chiedono chiarezza nei rapporti tra il governo e gli enti locali. “Nella seduta del 19 aprile scorso della Conferenza – si legge nella lettera inviata a Fitto – è emerso, infatti, che tutte le regioni e le province autonome ritengono assolutamente urgente il riparto del Fondo sviluppo e coesione per il 2021-2027”. Che, sembra assurdo, ma è ancora congelato.  E non da oggi. “Abbiamo cominciato a chiedere la ripartizione del Fondo dalla fine del 2020… prima Provenzano e poi Carfagna non lo hanno fatto”, spiega l’abruzzese Marco Marsilio, meloniano così, forse a giustificazione parziale dell’attendismo esasperato di Fitto.

E però va detto che, sul tramonto del governo Draghi, la ripartizione era stata operata. L’aveva fatta il 23 giugno 2022, alla vigilia della crisi estiva, il dipartimento per le Politiche di coesione, tramite quell’Agenzia che peraltro Fitto ha deciso di sbaraccare. Alle regioni del sud, come da legge, era stato destinato l’80 per cento delle risorse previste per questo capitolo: 22,4 miliardi. Il restante, quasi 4,5 miliardi, al centro-nord. Mancava però la delibera del Cipess, il Dipartimento per la programmazione della politica economica, per sbloccare l’erogazione di quei fondi. E, per paradossale che appaia, dopo dieci mesi, e dopo mezzo anno di governo Meloni, quella delibera ancora non c’è. Di qui la frustrazione delle regioni, che di quel gruzzolo si sono visti assegnare solo gli anticipi: poco meno di 2 miliardi, una miseria. E così la Campania attende i suoi 5,6 miliardi, poco più dei 5,5 stanziati per la Sicilia; la Puglia ne reclama 4,1 e la Calabria 2,5. E via elencando. Risorse fresche, che oltre a dare ossigeno alle casse delle regioni consentirebbero a queste ultime di avviare un programmazione economica completa. “Cosa che ancora non possiamo fare”, tuona il pugliese Michele Emiliano.

 

Ma non basta. Perché, oltre ai ritardi che si prolungano, ci sono novità che offendono. Almeno a guardare con gli occhi dei presidenti di regione l’articolo 51 del decreto Pnrr appena licenziato dal Parlamento. “Ti segnalo che dalla discussione è emersa forte preoccupazione al riguardo”, scrive ancora Fedriga a Fitto. Et pour cause, se è vero che quella modifica promossa da FdI stabilisce che, nei casi di sostituzione dei progetti europei con quelli nazionali, e delle relative compensazioni, i rimborsi garantiti dalla Commissione europea non vengano immediatamente restituiti alle regioni, come di prassi finora, “ma vengano trattenuti a livello nazionale per una successiva riassegnazione territoriale”. Insomma, è la logica accentratrice, centralista di Fitto, a finire additata: “Si tratta di una disposizione molto critica in particolare per le risorse dei Piani di sviluppo e coesione regionali”.

 

Fitto, dal canto suo, rivendica pure lui le sue ragioni. “Perché non si può avviare una discussione sul Fondo di sviluppo e coesione del 2021-27 se prima non si parte dall’evidenza drammatica che il ciclo precedente, 2014-20, è stato assorbito per meno del 25 per cento”. Insomma, inutile sbloccare nuovi fondi se prima non si risolvono i problemi strutturali che impediscono di spenderli. Non solo. “Il governo è impegnato in una complessa opera di ricognizione di tutti i fondi disponibili e del relativo avanzamento reale di spesa”, prosegue Marsilio. E’ appunto lo sforzo di Fitto: fare ordine tra i tanti fondi europei presenti, specie alla luce delle scadenze del Pnrr, trasferendo alcuni progetti da un capitolo all’altro. Sennonché, nell’attesa che questa complicata riorganizzazione della spesa si concretizzi, tutto resta bloccato. E le regioni reclamano risorse e prospettive chiare, che al momento il governo non può, o non vuole, concedere. 

E così, inevitabilmente, lo scontro da contabile diventa politico. Perché non sfugge che questo controllo così stringente da parte di Fitto sui fondi di coesione appare anche a tanti presidenti della Lega come una forma di “centralismo romano”. E sì che quelli, invece, sperano ancora nell’autonomia.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.