Fitto guadagna tempo con l'Ue. Ma il domino dei ritardi sul Pnrr preoccupa il Mef

E gli spagnoli dissero: "Da noi, per un ritardo del genere, sarebbe caduto il governo"

Valerio Valentini

Per la revisione del Piano si andrà oltre il 30 aprile. Meloni rassicurata dal suo ministro: "La Commissione non può farci fallire". Ma le proroghe si riflettono sulle scadenze di giugno, e così anche i pagamenti previsti vengono posticipati. Creando possibili problemi di cassa al Tesoro

Chissà se è vero, come ieri sussurravano nella delegazione spagnola che accompagnava Pedro Sánchez a Palazzo Chigi, che “se fosse successa in Spagna, una cosa simile, sarebbe caduto il governo”. La cosa, cioè il rinvio del pagamento della terza rata del Pnrr, non spaventa  Giorgia Meloni. Semmai il problema col Recovery è che è una corsa senza respiro: ottenuta una proroga, si complica la scadenza successiva.

E’ questo, in effetti, il centro di gravità delle trattative tra il governo italiano e la Commissione europea: evitare che i ritardi si trasformino in un domino di rinvii e lungaggini. Raffaele Fitto ha rassicurato la premier: non solo per le verifiche in corso sugli obiettivi di dicembre – l’erogazione della rata da quasi 20 miliardi non è mai stata, e non lo è neppure ora, davvero in discussione – ma anche per la richiesta di posticipare la consegna del Pnrr aggiornato al 30 aprile. Quella scadenza, ha spiegato ai colleghi di FdI il ministro per gli Affari europei Fitto, è “orientativa”, scritta insomma sull’acqua. E se in effetti è vero che, la data è indicata, eccome, nei documenti ufficiali della Commissione, è però anche innegabile che da Bruxelles filtra una certa positiva disposizione d’animo ad accordare all’Italia qualche settimana in più, anche per la definizione del RePowerEu.

Solo che, ottenuta questa concessione, si dovrà lavorare con ancor più zelo, e forse con maggiore affanno, in vista di giugno. Perché, è evidente, modificare il Pnrr tra aprile e maggio, ripianificare alcuni investimenti, avrà un impatto non irrilevante su alcuni dei 27 obiettivi da centrare entro questo semestre. Per questo, nella cabina di regia che si va allestendo a Palazzo Chigi, c’è chi parla, non senza un certo allarmismo, di una “necessità di fare modifiche in corsa, ma senza perdere slancio e velocità”.

Facile a dirsi, certo. Quanto al farsi, il primo a essere dubbioso deve essere Giancarlo Giorgetti, se è vero che dalle parti della Ragioneria generale, là dov’è stato incardinato finora il vertice della piramide che sovrintende all’attuazione del Pnrr, c’è chi evidenzia un possibile problema di liquidità. Nel senso che, nelle previsioni dei flussi di cassa del Tesoro, si era fatto affidamento sui bonifici che sarebbero arrivati dalla Commissione come corrispettivo delle varie rate fissate. Ritardare quei pagamenti significa non riscuotere, o farlo in ritardo. E questo, alla lunga, potrebbe portare a sofferenze impreviste. Di fatto, il procrastinarsi dei controlli sui 55 target di dicembre ha prodotto, da ormai due mesi, un mancato incasso di 19 miliardi. Dagli impegni di giugno ne dipendono altri 16. E la Commissione non paga in modo progressivo, ma in tranche uniche. Ci sarebbero anche considerazioni di questo genere, dunque, alla base delle dichiarazioni apparentemente improvvide del capogruppo leghista alla Camera, Riccardo Molinari.

Per questo, l’ipotesi che Fitto sta seriamente valutando, quella cioè di ricorrere alla  procedura d’emergenza prevista dalle nuove direttive della Commissione emanate il 21 febbraio, non sarebbe indolore. Perché chiedere di nuovo una proroga nella verifica da parte di Bruxelles – l’extra time possibile si estende fino a sei mesi, ma si punta a non andare oltre i due – sui prossimi obiettivi significherà anche ritardare la riscossione della relativa rata, in un circolo vizioso di rinvii che rischia di diventare pericoloso. La convinzione condivisa da Fitto e Meloni è che sul Next Generation Eu tutta la Commissione, e non solo il governo di Roma, si gioca la faccia: ed essendo quello italiano il Piano più importante, non sia interesse di nessuno propiziare una disfatta dell’esecutivo patriottico. Ma è una constatazione, questa, che seppur fondata potrebbe finire con l’alimentare  alibi spropositati.

Specie se, ed è una cosa che la premier non si aspettava, proprio sul Pnrr si scaricheranno le tensioni politiche interne alla maggioranza. I modi e i toni utilizzati dalla Lega in questi giorni sul Recovery, le uscite non concordate di Matteo Salvini e dei suoi, vanno in gran parte ricondotte alla zuffa in corso sulle nomine delle partecipate. Il Carroccio rimprovera a Meloni un eccessivo “continuismo”, una cautela esasperata nel proporre rinnovamenti e cambiamenti. “Ma scatenare la rappresaglia sul Pnrr significa esporre l’intera coalizione a pericoli immotivati”, lamenta un ministro meloniano. Il tutto, in vista di un’altra scadenza: quella di martedì, quando si definirà il pacchetto delle nomine in un vertice a Palazzo Chigi. Sperando che non finisca, pure lì, in gazzarra.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.