L'incontro

Renzi e Calenda a Roma promettono un nuovo partito. Potrebbe chiamarsi Renew Italia

Gianluca De Rosa

Primo faccia a faccia tra i leader del Terzo polo dopo le elezioni. Accordo sui capigruppo (andranno uno ad Azione e uno a Italia Viva) e preparazione di un evento simbolico a fine novembre per il lancio del nuovo progetto politico. Sulle regionali chiusura totale a una coalizione con il M5s. E i dem temono l'opa ostile

Potrebbe chiamarsi Renew Italia, declinazione nazionale del gruppo europeo che a Strasburgo unisce Azione e Italia Viva a Renaissance del presidente francese Emmanuel Macron. Per il battesimo del nuovo partito, che si terrà a fine novembre, sarà scelto un luogo simbolico. La suggestione? Ventotene, l’isola in cui Altiero Spinelli scrisse il suo manifesto “Per un’Europa libera e unita”. Insieme a tanti giovani ci saranno anche loro, i leader. Intanto, questo pomeriggio, Carlo Calenda e Matteo Renzi si sono rivisti per la prima volta dopo le elezioni. Appuntamento alle 18.20 a Roma, corso Vittorio Emanuele, sede nazionale di Azione. Un faccia a faccia di più di un’ora per scandire le tappe del progetto politico che, nelle intenzioni della coppia del terzo polo, dovrebbe esser ben più di una fusione a freddo tra due partiti. “Alla fine del nostro lavoro – spiegava Calenda – ci sarà una sinistra che si salderà con il M5s, una parte del centrosinistra che verrà con noi, una destra sovranista e una parte dei liberali e moderati che passerà dalla nostra parte”.

Durante l’incontro, intanto, è stato stabilito più prosaicamente che i capigruppo alle Camere saranno distribuiti equamente: uno ad Azione e uno ad Italia Viva. Una parità perfetta che si somma al numero degli eletti (15 a testa). Sull’altro tema caldo, le prossime alleanze in vista delle regionali in Lazio e Lombardia, i due leader si sono accordati per prendere insieme qualsiasi futura decisione. Una cosa è certa: il terzo polo non andrà in coalizione con il M5s. Lo vorrebbe il segretario regionale dem Bruno Astorre che ancora ieri, con un comunicato, chiedeva a Calenda di non abbandonare il modello Lazio, dove Azione sostiene insieme al M5s la giunta Zingaretti. Solo che per mettere in difficoltà Calenda il profilo ideale non sarebbe quello del candidato sostenuto da Astorre, il vicepresidente della Regione Daniele Leodori, ma quello di Alessio D’Amato, l’assessore alla Sanità apprezzatissimo dal segretario di Azione il quale, prima delle elezioni, aveva detto che con lui candidato avrebbe accettato anche un’alleanza con i grillini. Ora? La vicenda del terzo polo, è inevitabile, è intrecciata con il futuro del Pd. Quello prospettato dal duo liberale non è affatto roseo: il Pd è destinato a sparire.

 

Viste le intenzioni è dunque piuttosto normale che nel Pd cominci a serpeggiare una certa sindrome di accerchiamento. E la cosa paradossale è che gli assalitori, gli azionisti dell’opa ostile che vuole azzerare il patrimonio democratico, sono proprio i leader dei due partiti con i quali alcuni dem vorrebbero tornare ad allearsi: non solo Calenda, ma anche Giuseppe Conte. Ieri dalle colonne di Repubblica un vecchio saggio del partito, Luigi Zanda, ammoniva sui rischi di continuare a correre dietro a coloro che ti vogliono archiviare: “Conte, come Renzi e Calenda, vuole disintegrare il Pd per prenderne i voti, altro che scioglimento, teniamoci stretti il partito”. Tra i dirigenti più scafati, è opinione comune e trasversale alle correnti che non sia necessario ripartire da con chi allearsi, ma di chi essere. “Dobbiamo smetterla di fare come gli adolescenti che per capire chi sono guardano gli altri e si vestono imitandoli, chi siamo, e che abito indossare, lo scegliamo noi”.

L’opa ostile si incrocia anche con i posizionamenti in vista del congresso. Alessandro Alfieri, coordinatore di Base riformista, quella che era la corrente renziana nel Pd, parlando con l’Adnkronos ha chiesto “una leadership forte” da avere “in tempi idonei” perché “siamo sotto attacco, da parte di Renzi in particolare”. La sua dichiarazione ha in realtà due letture. Non c’è solo la sindrome dell’accerchiamento, ma anche l’intenzione di celebrare al più presto il congresso per tirare la volata al candidato di corrente, il governatore emiliano Stefano Bonaccini, il più avanti nella preparazione della candidatura, e il migliore per salvare il Pd dalla potenziale fuga dei riformisti.