Laboratorio liberale

Il Terzo polo sarà un partito, ma sul suo destino c'è l'incognita Pd

Gianluca De Rosa

Carlo Calenda annuncia la creazione di un soggetto "che non sarà la somma di Azione e Iv, ma qualcosa di più grande ed aperto”. Per ora porte chiuse al Pd che "tiene dentro di sè tutto e il suo contrario". A Zingaretti che chiede di tornare al campo largo per le elezioni in Lazio e Lombardi da queste parti si risponde con una pernacchia

Sette virgola otto per cento, 30 parlamentari, 21 deputati e nove senatori. Non hanno vinto, non hanno perso. Non sono disperati, ma non c’è molto da esultare. E in questo limbo emotivo, allora, la domanda è d’obbligo: che ne sarà del Terzo polo? Sarà stata solo una meteora elettorale? O il voto di domenica è stato il battesimo di uno schieramento che aspira a diventare protagonista della vita politica del paese? La risposta ufficiale l’ha data Carlo Calenda ieri nel corso di una conferenza stampa. Sì, il terzo Polo diventerà un partito, ma “non sarà la somma di Azione e Italia viva ma qualcosa di più grande ed aperto”, ha garantito Calenda. A fianco della risposta ufficiale però ce n’è una ufficiosa assai più complicata e ambigua. Perché i destini del terzo polo sono legati, almeno in parte, alla vera variabile impazzita del dopo elezioni, il Pd. Calenda esclude dialoghi futuri con i dem. Per loro ha giù un vaticinio: “Riapriranno al Movimento 5 stelle, finiranno nell’offerta populista, e quindi, a maggior ragione, dovremmo distinguerci. Pensano di tenere tutto dentro, da Bonino a Taverna, dicendo ‘noi siamo i buoni’, non può funzionare, è una situazione destinata a esplodere”. Insomma si scommette su un duplice scenario: il Pd fagocitato dal M5s o la scissione. Con il Terzo polo pronto ad accogliere eventuali esuli. Una variazione sul tema dello scenario francese, con il partito socialista fagocitato a sinistra da France Insoumise e al centro da Emmanuel Macron. Da queste parti alle dichiarazioni di Nicola Zingaretti che già chiede di tornare al campo largo con terzo polo e M5s per le prossime elezioni regionali in Lazio e Lombardia si risponde con una pernacchia.


Renzi e Calenda, come dice quest’ultimo, non saranno amici, ma su una cosa sono d’accordo: l’ambiguità del Pd, sospeso tra riformismo e populismo di sinistra, è il vero totem che queste elezioni possono contribuire ad abbattere. E il terzo polo in un certo senso deve esistere perché da quel che accadrà ha solo da guadagnare. Non a caso ieri Calenda ai dem lo additavano di aver fatto vincere il centrodestra, portando come esempio il collegio del Senato di Roma centro, dove erano candidati sia lui, sia Emma Bonino, vinto alla fine dalla candidata del centrodestra, replicava con stizza: “Mi dispiace molto che Emma non entri in Parlamento, il Pd l’ha usata contro di me. La follia di una coalizione draghiana ma anche populista si è rivelata con nettezza”.

 

La politica però non è fatta solo dalle idee, ma anche, e soprattutto, dagli uomini. Alle Camere il terzo polo formerà gruppi unici, ma la fusione a freddo tra Azione e Italia viva sarà più complicata. “Ci vorrà tempo”, ha ammesso Calenda. E’ anche una questione di gruppi che devono cominciare a fidarsi. Lo si capisce già dentro il comitato elettorale. Uno dei grafici che ha lavorato al logo della lista elettorale – tanto preso in giro sui social per la somiglianza, effettivamente incredibile, con il faccione del personaggio animato Doraemon – ammette: “Metterli d’accordo è stata una faticaccia”. Le truppe di Renzi e Calenda si muovono separate. Nella notte dello spoglio, disertata da entrambi i leader, a parlare con i giornalisti c’erano solo esponenti di Italia viva (Rosato, Bonetti, Boschi). Per Azione all’hotel Mediteranneo è venuta solo Maria Stella Gelmini, ma non parlava con i tv e cronisti. “Ci pensa domani Carlo”. Sulla comunicazione linee già divise. Si vagheggia poi il timore della fregatura. La paura che Renzi alla fine possa aver piazzato più parlamentari di quelli di Azione, che abbia insomma utilizzato il partito di Calenda come un taxi. E d’altronde a dare il nome alla legge elettorale è proprio il coordinatore nazionale di Italia Viva Ettore Rosato. Ma sono solo malignità smentite dai fatti. L’accordo Azione-Iv prevedeva una divisione a metà dei collegi. A spoglio ancora non concluso, anche gli eletti sono divisi a metà.

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