Ossi di Pd

Il Pd si prepara al congresso facendo "analisi". Bonaccini-Nardella-Schlein in corsa

Carmelo Caruso

Enrico Letta annuncia che non si presenterà al congresso. I tormenti della due anime del partito in vista di marzo. Per Orlando serve una "costituente"

Sono perdenti e perduti ed Enrico Letta il loro poeta, il loro Eugenio Montale: “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti…”. Si è presentato al Nazareno da segretario crepuscolare, dimissionario, ma si è offerto di accompagnare il Pd al congresso che “non potrà che essere di profonda riflessione”. E’ da quando è nato che il Pd si interroga sulla sua sostanza. Dieci segretari in quindici anni: una farmacia di antistaminici…  Non li ha battuti Giorgia Meloni. Il Pd è  il partito degli abbattuti. Dice un dirigente: “Non è più importante sapere chi sarà il prossimo segretario del Pd ma sapere se esisterà ancora il Pd”.


 “Chi siamo?”; “Chi saremo?” si chiedeva Letta, “Enrico il buono”,  prima di riconoscere che le sconfitte sono naturalmente “sempre solitarie”. Chi sono i democratici, quegli uomini e quelle donne,  umiliati dalla destra italiana come mai era accaduto? Sono i malinconici, i sensibili, gli antipatici, gli insultati, i colitici. Stomaci chiusi, ulcere, melatonina sul comodino, colliri. Debora Serracchiani, alle 4 di notte, la notte elettorale, è stata vista a Roma, lungo Largo Argentina, passeggiare con Marco Meloni, il numero due di Letta. Insieme esaminavano la “non vittoria”. Il guaio del Pd è che “analizza” quando dovrebbe amarsi e baciarsi al chiaro di luna. Stefano Bonaccini, che da almeno quattro anni ragiona  se candidarsi o meno segretario è ancora nell’atto della “riflessione”. Non manca di coraggio. E’ solo consapevole che questo partito è il cimitero delle  speranze, l’osso di seppia italiano. Bonaccini potrebbe naturalmente correre per la segreteria, anzi, non lo esclude, come potrebbe però farlo Dario Nardella, il sindaco di Firenze. Ma potrebbe correre pure Antonio De Caro, il sindaco di Bari, mentre lo farà sicuramente Matteo Ricci a nome di tutti i sindaci del Pd che “me lo stanno chiedendo”.

 

L’area riformista, come si vede, ha già quattro possibili candidati. Il congresso è previsto a marzo e nel Pd nessuno crede possibile anticiparlo come ha confidato Letta, uno che meriterebbe, e davvero, di essere lodato anche solo per l’eleganza che ci mette ogni volta che deve farsi da parte. Durante la sua “autoanalisi” ricordava come è arrivato alla guida. Era meno di un anno e mezzo fa e il partito, come oggi, si interrogava sulla fine ultima manco fosse il filosofo Manlio Sgalambro. Dario Franceschini scriveva romanzi, Nicola Zingaretti veniva martirizzato dai sindaci e dagli ex renziani. Nella sua generosità è stato lo stesso Letta a dichiarare che con  Conte, e il M5s, sarà inevitabile riprendere quel discorso interrotto, “ma non posso essere io l’uomo che lo porta avanti”. Non si è pentito di aver separato i destini: “Eravamo tutti d’accordo, abbiamo votato in direzione”. Il segretario  attaccava infatti Conte, lo zircone del socialismo, l’innesco, l’uomo che ha fatto partire tutto con la sua decisione di staccare la spina al governo Draghi, il leader che oggi “consegna il paese alla destra e che ci regala un giorno triste”.

Dietro al segretario c’era Peppe Provenzano ad ascoltarlo. Si metteva la mano sulla fronte. Anche lui chi è? Cosa farà? Dovrà probabilmente “riflettere”. Raccontano nel Pd che la corrente di sinistra sia tentata dalla separazione,  perfino cambiare nome,  provare a fare una cosa rossa con il M5s e con Leu.  Se fosse vero sarebbe il trionfo di Goffredo Bettini, uno che è stato troppe volte maltrattato, ma che rimane, nell’analisi, il più sottile. Un giorno ha raccontato al Foglio: “Mi sento un po’ come Nero Wolfe, mi prendo cura delle mie orchidee”. In pratica concima partiti. Andrea Orlando, il “capomastro”, mentre Letta parlava, era invece a Genova e dicono fosse contento perché la Liguria ha strappato un collegio uninominale a Sandro Biasotti, un vecchio lupo di destra e perché “è venuta su una classe dirigente”. Sono i suoi “sarracini” e non solo perché Marco (Sarracino) è stato eletto a Napoli. Orlando ha chiesto una “costituente”, Letta potrebbe invece offrirgli il ruolo di capogruppo alla Camera e promuoverlo speaker di opposizione. Chi lo dice è lo stesso ad aggiungere che Schlein finirebbe  così per essere la candidata segretaria di Letta-Orlando-Franceschini. Più di uno ha fatto notare che questo bene rifugio che ha scoperto  il Pd, questa donna che ha rivendicato di amare un’altra donna, non ha neppure la tessera il che la rende ancora più intrigante. Bonaccini e Schlein si dà per scontato che si sfideranno. Non è stato preso in esame che uno dei due possa farsi da parte a favore dell’altro. Forse un giorno, e verrà un giorno, direbbe Giorgia Meloni, questi dirigenti , oggi sconfitti, capiranno quanto tempo hanno perso a riflettere, un po’  come facevano gli amici de La Cospirazione di Nizan. Erano adolescenti che si immaginavano il mondo come un muro complesso, mentre, scriveva Nizan, alla fine, non era nient’altro “che un ammasso di gelatina, senza capo e né coda”.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio