(Foto di Ansa) 

la storia ilare e pietosa di un'impresa demenziale

Gli incompetenti sono riusciti dove le élite si sono fermate alle slide

Giuliano Ferrara

Dalla piattaforma Rousseau alla riduzione dei parlamentari, il Movimento 5 stelle è stato capace di incidere, e molto, nella nostra politica. Ma i conti con la masnada, impossibili per loro, spettano a noi

Certo che sono implausibili, ridicoli, ignoranti, linguisticamente svantaggiati; certo che vengono dalle imprese di un cabarettista andato a male; certo che tra di loro ci sono le più grottesche macchiette; certo che sono pericolosi, le avventure più strambe in Europa e nel mondo, putinismo e asiatismo compresi, sono un loro carattere dal principio; certo che incarnano “la demagogia, l’azione disordinata delle masse, il loro intervento violento e poco lungimirante nelle questioni politiche, la passione invidiosa delle classi basse” (Tocqueville); ma proprio ora che destabilizzano, farfugliano le loro libertà parlamentari proponendo “urgenze che non richiedono pronte risposte”, proprio ora che aggrediscono chi cerca di lavorare contro crisi e guerra; proprio ora che viene a saldo la storia ilare e pietosa della loro impresa demenziale cui fu imposta l’etichetta degli hotel agognati e malfamati, i Cinque stelle, bisogna riconoscere che sono stati una formazione politica capace di incidere e molto. Abbiamo già ricordato che hanno ridotto il numero dei parlamentari, mito intoccabile della nostra democrazia rappresentativa, facendo approvare da un referendum una riforma costituzionale, cosa senza precedenti.


Hanno riaperto il capitolo inconcludente della democrazia diretta, portando la versione Rousseau del pannellismo, un’intuizione scimmiottata e dissipata malamente, al 32 per cento elettorale, e alla nomina camerale e senatoriale di legioni di quadrupedi venuti dal buio della foresta. Hanno massacrato miti instabili infrastrutturali al grido: chi se ne frega di andare a Lione!, ora completato da: chi se ne frega di bruciare la monnezza!, ma in questo hanno dato voce alle conseguenze del verdismo più estremo e facile, realizzando nel nullismo una cospicua parte della cultura modernista antitecnologica e pro decrescita, e distruggendo la più significativa e grassa rendita capitalistica del paese (le autostrade, testimoni del boom). Hanno messo le mani nelle tasche della nomenclatura ex parlamentare, realizzando in autodichia un incredibile scippo dei diritti acquisiti a danno delle paghe più odiate del mondo, ma sono soldi sequestrati a noi oligarchi con un tratto di demagogismo giacobino molto efficace. Hanno messo immani risorse nel Reddito di cittadinanza, rendendo obsoleta l’idea stessa di politiche riformiste per il mercato del lavoro e creando il mercato della rinuncia, colpendo però le sacche maggiori di povertà del sistema, e aprendo la strada alla strategia dei bonus, principale dei quali il celebre 110 per cento che ha riattivato l’industria pilota dell’edilizia al costo di un tasso esoso di frodi pubbliche. Hanno chiuso in anticipo l’Italia per pandemia facendo da battistrada, lodati e riveriti, al resto dell’Europa scettica e libertaria. Ancora oggi cercano di intestarsi il salario minimo, che è una scelta ovvia piena di nemici cocciuti. E quando a Bruxelles si è deciso di fare debito comune per il riequilibrio e la ripresa, e di attribuire all’Italia quasi i due terzi dell’investimento, beh, a capo del governo e a trattare c’erano loro, sì, loro, quella infaticabile orda di buzzurri che ha non-si-sa-come inciso nel male, nel malissimo e nel bene le piaghe vere e false della società italiana e delle istituzioni.

 

I liberali e riformatori a questa scatola di tonno aperta e consumata, a modo loro, dagli affamati e dai senza scarpe della politica italiana, dagli scappati di casa unti e bisunti di cui ci burliamo sicuri delle nostre ragioni, dovrebbero dedicare qualcosa di più delle barzellette e delle solite irrisioni. Hanno più che dimezzato i voti, non sembrano avere più niente di serio da dire, se mai lo abbiano avuto. Eppure, quanto a incidenza, quella pletora di incompetenti è riuscita a spallate dove le nostre élite hanno spesso prodotto una sfilza inutile di slide. Siamo il paese dei disconoscimenti. La Dc era il partito del non governo, secondo la dizione lamalfiana, severa, e ha fatto il paese industriale. Il Pci mangiava i bambini, e ha salvato più volte la democrazia. I boiardi di stato erano una classe predatoria, e ora li rimpiangiamo. Berlusconi ha tradito il sogno liberale, ma è solo con lui che il governo è diventato una cosa contendibile. E così via. Non sarà che i conti con la masnada, impossibili a farsi per loro, che non conoscono l’aritmetica politica, spettano ad altri, magari a noi?

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.