Storie parallele

Di fronte alle richieste indecenti di Trump, Conte non è Zelensky

Luciano Capone

Nel 2019 il presidente americano tenta di aprire inchieste giudiziarie complottiste da usare in campagna elettorale: chiede all'Italia di aiutarlo a ribaltare il Russiagate e all'Ucraina di indagare il figlio di Biden. Conte si mette subito a disposizione, Zelensky no (sebbene il tycoon lo ricattasse congelando gli aiuti militari)

Ieri Repubblica ha fornito ulteriori dettagli sugli incontri avvenuti ad agosto e a settembre del 2019 tra il segretario alla Giustizia americano William Barr, inviato da Trump per una controinchiesta sul Russiagate, e l’allora capo dei servizi segreti italiani (Dis) e braccio destro di Giuseppe Conte, Gennaro Vecchione. Repubblica ricostruisce i movimenti di Barr, inclusa una cena programmata con Vecchione, e solleva alcune incongruenze con la versione di Conte. I nuovi particolari non modificano molto un quadro di asservimento alle richieste indecenti di Trump, che neppure paesi in stato di necessità come l’Ucraina hanno accettato. In questo senso sono significativi i casi di Conte e Zelensky.

 

Gli incontri tra Barr e Vecchione nascono dalla convinzione dell’amministrazione Trump che il Russiagate, ovvero l’inchiesta sulle interferenze russe nelle elezioni presidenziali del 2016 e sui contatti tra ufficiali russi e il team di Trump, sia stato un complotto nei suoi confronti orchestrato da Hillary Clinton e dall’Fbi, con la collaborazione dei servizi italiani indirizzati in qualche modo dall’allora premier Matteo Renzi. Per questo motivo l’amministrazione Trump aveva nominato un procuratore speciale, John Durham, con il mandato di indagare sull’origine dell’inchiesta sul Russiagate fatta dal procuratore speciale Robert Mueller. Che Trump credesse davvero o meno a questa teoria complottista è irrilevante, la cosa sicura è che questa inchiesta gli serviva come arma politica per le imminenti elezioni presidenziali dove si giocava la riconferma. E pertanto era per lui importante ottenere una collaborazione dall’Italia per mostrare che l’inchiesta avesse un qualche fondamento.

 

E’ questo l’aiuto che Trump ha chiesto all’amico Giuseppi, che immediatamente ha messo a disposizione dell’amico Donald i servizi segreti italiani. Ma non semplicemente chiedendo eventuali informazioni, bensì organizzando incontri operativi tra Vecchione e il ministro della Giustizia americano, quasi che il Dis fosse diventato una specie di polizia giudiziaria al servizio del governo americano. Il problema non è solo che in questo modo Conte abbia aiutato Trump a ribaltare un’inchiesta fatta dalle autorità americane, inserendosi in una questione politico-istituzionale interna con ricadute sulle elezioni americane. Ma che, per assecondare la teoria di Trump secondo cui il complotto avrebbe coinvolto i servizi italiani, il presidente del Consiglio ha di fatto messo l’intelligence italiana nella condizione di indagare su sé stessa per conto delle autorità americane al fine di verificare se avesse complottato contro il presidente degli Stati Uniti insieme all’Fbi. E’ a questo delirio trumpiano che Conte non ha saputo dire di no piegando le istituzioni italiane.

 

Un’analoga proposta indecente, negli stessi mesi estivi del 2019, Trump la fece al neoeletto presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky. In una telefonata, il presidente americano chiese a Zelensky di mettersi in contatto con il suo avvocato Rudy Giuliani e con il solito Barr per indagare su un’altra teoria del complotto che riguardava il Russiagate e alcuni server ucraini e, soprattutto, di mettere sotto indagine Hunter Biden, il figlio del suo avversario alle elezioni presidenziali Joe Biden che aveva un ruolo in una società ucraina. A differenza che nel caso italiano, quella rivolta a Zelensky non era una semplice richiesta ma un ricatto. Perché Trump aveva condizionato il soddisfacimento dei suoi desiderata alla consegna di forniture militari, più specificatamente quei missili Javelin che abbiamo imparato a capire quanto siano determinanti per difendersi da un’aggressione della Russia. Trump è pienamente consapevole dello stato di bisogno dell’Ucraina, anche perché Zelensky oltre a ringraziare gli Stati Uniti per l’appoggio si lamenta dei paesi europei che non fanno quasi nulla per il suo paese. E pertanto il presidente americano congela gli aiuti militari in attesa di un segnale di Zelensky.

 

Il presidente ucraino si è trovato così per diverse settimane nell’angosciante situazione di dover scegliere se accettare la richiesta indecente di Trump di annunciare pubblicamente un’inchiesta contro il figlio di Biden che il presidente americano avrebbe usato in campagna elettorale oppure rifiutare e perdere gli aiuti militari necessari alla sicurezza del suo paese. Alla fine, probabilmente anche perché in America erano iniziate a circolare voci del ricatto e Trump ha sbloccato l’assistenza militare all’Ucraina, Zelensky è riuscito a resistere alla richiesta indecente di Trump. Nel caso italiano, invece, Conte ha immediatamente messo a disposizione i servizi segreti. Senza neppure bisogno di essere ricattato. Che almeno ora ci risparmi lezioni sul “vetero-atlantismo di stampo fideistico”.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali