Il caso

Così i fantasmi di Putin e Trump rincorrono il Conte populista

Repubblica e  Corriere svelano strani rapporti, presunti favori e leggerezze dell'ex premier nei confronti dell'America, ma anche verso la Russia  ai tempi del Covid

Da ovest a est, da Trump a Putin: strascichi del populismo al governo. Nel mezzo, Giuseppe Conte e i suoi fantasmi che oggi tornano ad agitarsi. Legami e passaggi, ancora fumosi, dell'esperienza del fu Avvocato del popolo a Palazzo Chigi, con due diverse maggioranze, che riaffiorano attraverso email inedite e agende grigie relative a due diverse vicende che coinvolgono il leader grillino.

La prima, di cui oggi dà conto la Repubblica riguarda il Russiagate, i dubbi di Trump su un presunto coinvolgimento italiano, insieme alla Fbi, per ostacolare la sua elezione alla Casa Bianca a vantaggio di Hilary Clinton nel 2016, quando premier era Matteo Renzi. Per questo arriva in Italia il segretario alla Giustizia americano, Bill Barr incaricato di recuperare informazioni. Tra i suoi appuntamenti, quello con il capo del Dipartimento informazione per la sicurezza, Gennaro Vecchione, nella sede dei servizi segreti in piazza Dante a Roma. Un appuntamento in agenda, “una riunione tecnica che non si è svolta all'ambasciata americana, né in un bar, né in un albergo, ma nella sede del Dis”, come aveva provato a chiarire al Copasir Giuseppe Conte nell'ottobre del 2019.

Solo che dalle carte emerge come quell'incontro, del 15 agosto dello stesso anno, tra Vecchione e Barr, sia andato oltre: una cena in un locale nel centro di Roma, di cui il capo dei pentastellati non ha mai parlato e che ora porta chiedersi se davvero Conte abbia raccontato al Comitato di sicurezza parlamentare tutto quello che sapeva. Dubbi alimentati dal singolare endorsement che nello stesso periodo arriva dal Tycoon verso "Giuseppi, un uomo di grande talento che speriamo resti primo ministro”.

 

Cosa che poi, sebbene con un cambio di governo, è avvenuta. E nel frattempo è arrivato anche il Covid e l'emergenza. Con Giuseppe Conte che questa volta guarda a oriente e nel corso di una telefonata con Vladimir Putin stringe un patto affinché sanitari e militari russi arrivino in Italia per supportare il sistema sanitario, una missione umanitaria in Lombardia, nelle prime concitate fasi della pandemia. Siamo nel marzo 2020. Un'operazione su cui, secondo quando riferito da Conte, ai giornali e al Copasir, non ci sarebbe nulla da noscondere e nulla da chiarire - nonostante ci siano state anche varie audizioni che hanno coinvolto mebri della protezione civile e dell'esercito italiano.

Il Corriere svela oggi alcune email riservate, una corrispondenza tra la Farnesina e l'ambasciata russa, che ricostruisce in parte le attività concordate come l'invio di “mezzi speciali per la disinfestazione di strutture e centri abitati nelle località infette”. Doveva trattarsi di mascherine e ventilatori, irreperibili in quei mesi, ma la reale natura della missione appare un po' più oscura considerando i tentativi russi – raccontati ampiamente dai militari italiani che hanno presenziato a quelle attività – di andare oltre la funzione sanitaria e accedere agli edifici pubblici, in virtù delle indicazioni dello stesso Cremlino. Cosa che sarebbe comunque stata impedita.

Ma dallo scambio di missive emerge anche la pianificazione dei viaggi e un conto da oltre 3 milioni di euro sostenuto dall'Italia scome chiedono i diplomatici di Putin alla Farnesina: “Ci auguriamo che le questioni di vitto alloggio e supporto alla vita dei medici russi siano risolte dalla parte italiana, come pure la messa a disposizione di materiali consumabili necessari”. Costi e richieste che stridono con la versione ufficiale del governo, per cui si trattò soltanto di una missione umanitaria. Altri elementi su una vicenda già opaca, che ora Conte sarà chiamato nuovamente a chiarire.

 

Di più su questi argomenti: