Astenersi trucismi

Il Quirinale e l'opportunità per la destra: meno rutti, più responsabilità

Claudio Cerasa

Diversi segnali di una svolta verso posizioni più moderate ci sono già. Ma per Giorgia Meloni e Matteo Salvini l'elezione del prossimo capo dello stato può diventare l'occasione per inaugurare un nuovo corso. I due leader non si lascino sfuggire quest'opportunità

Sarà l’effetto della campagna per il Quirinale, che come il Natale rende tutti più buoni. Sarà il clima indotto dal governo Draghi, che come d’incanto ha trasformato la trasversalità non più in un vizio degli inciucioni ma in una virtù dei responsabili. Sarà l’effetto drammatico della pandemia (ieri 118 morti), che ha contribuito a mettere in campo una discreta scrematura delle minchiate. Sarà il combinato di tutto questo, e forse anche di molto altro, ma il fatto è comunque interessante, è diventato ricorrente, merita di essere evidenziato.

Il fatto è questo e riguarda una nuova e sorprendente competizione che sembra emergere tra le destre italiane: la competizione non tra chi urla di più, ma tra chi prova a mostrare di essere più maturo degli altri. E’ possibile che tutto questo svanisca d’incanto, ma è anche possibile che i leader della destra italiana abbiano capito che all’interno del proprio elettorato sta emergendo una domanda politica nuova, caratterizzata da una richiesta semplice: meno estremismo, più pragmatismo. Non è facile dire se la domanda elettorale troverà un’offerta adeguata (la stessa Marine Le Pen sta cercando di trasformare Eric Zemmour in quello davvero estremista) ma è invece più facile mettere insieme alcuni piccoli segnali raccolti.

 

Un primo segnale riguarda l’estrema popolarità di due leader come Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, tra i governatori più amati d’Italia, che incarnano un’idea di Lega oggettivamente diversa rispetto a quella di Salvini (curiosità: la biografia di Zaia da due settimane è in cima alle classifiche). Un secondo segnale riguarda il tentativo di Giorgia Meloni di trasformare la festa di Atreju in un’occasione utile per mostrare la capacità di Fratelli d’Italia di essere all’occorrenza anche trasversale. Un terzo segnale riguarda l’attenzione speciale rivolta ancora verso Meloni dal Pd che alcuni mesi fa considerava Fratelli d’Italia “fuori dall’arco repubblicano” (Giuseppe Provenzano, vicesegretario del Pd, ottobre 2021) e che ora invece considera il partito di Meloni un interlocutore prezioso per costruire l’arco repubblicano che voterà il prossimo capo dello stato. Un quarto segnale riguarda la scelta fatta da Salvini di non ostacolare la semi (semi) draghizzazione e la semi (semi) deborghizzazione della Lega portata avanti da un tridente formato dal governatore del Friuli Venezia Giulia (gran sostenitore del super green pass), dal ministro Giancarlo Giorgetti (gran sostenitore dell’avvicinamento della Lega al Ppe) e dal vicesegretario Lorenzo Fontana (gran sostenitore del Trattato del Quirinale). Il quinto segnale riguarda invece un dato che ci riporta alla partita del Colle e che ha a che fare con una competizione che si andrà a manifestare nel momento in cui si capirà che Draghi ha intenzione di giocare la partita per la successione a Mattarella.

In poche parole: chi si intesterà, a destra, la candidatura di Draghi? C’è Berlusconi, e solo uno sciocco potrebbe pensare che Berlusconi non faccia magnificamente sul serio, ma al netto della candidatura del Cav. il punto è un altro ed è la possibilità (la volontà?) da parte della Lega e di Fratelli d’Italia di trasformare la partita quirinalizia in un’immersione nelle acque del Giordano, in una nuova svolta di Fiuggi. Vale per Meloni, che forse solo con un Draghi al Quirinale potrebbe avere speranze un giorno di avvicinarsi a Palazzo Chigi, e vale anche per la Lega, i cui volti più moderati scommettono su Draghi anche per dare la possibilità alla Lega di archiviare per sempre l’èra del trucismo. Un Draghi al Quirinale è un’assicurazione sulla vita dell’Italia (du gust is megl che uan, sette years is megl che uan) ma è anche una piccola assicurazione sulla nuova possibile vita del centrodestra, che votando in modo compatto e trasversale per l’ex governatore della Bce al Colle avrebbe l’occasione di fare un passetto ulteriore lontano dalla stagione del rutto libero.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.