Il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè (foto Ansa)

l'intervista

“Con le canaglie talebane si tratta con fermezza”, dice Giorgio Mulè

Valerio Valentini

Il sottosegretario alla Difesa. "Dobbiamo pensare a una sorta di Recovery plan afghano, finanziamenti subordinati al rispetto di standard democratici. Se fallisce resta in campo l'opzione militare"

A pensarci oggi, a ridosso di quella ricorrenza che forse più di tutte è emblematica, Giorgio Mulè riesce a fatica a nascondere un amaro senno del poi. “La verità è che il sonno dell’Occidente genera mostri”, dice il sottosegretario alla Difesa, uomo di fiducia del Cav. che risponde dal suo ufficio a Palazzo Esercito. “La voglia di non cedere a questo sconforto è grossa”, precisa, “perché si vorrebbe affermare che non del tutto invano sono trascorsi questi vent’anni che ci separano dall’attacco alle Torri gemelle. Bin Laden è stato eliminato, in Afghanistan un’intera generazione di uomini e soprattutto donne ha conosciuto libertà mai viste prima”. E però? “E però a guardare le immagini che arrivano dalla valle del Panshir, dove oggi i talebani hanno profanato esultanti la tomba di Ahmad Shah Massud, viene da pensare che il figlio del Leone e le sue truppe sono state abbandonate al loro destino, e la loro lotta per la resistenza del tutto ignorata dall’Occidente”. Si poteva e si doveva fare di più, per aiutarli? “Mi limito a constatare che coi Peshmerga kurdi, nel recente passato, ci si è comportati in modo diverso. Invece qui accettiamo che, nel giro di due settimane, i talebani demoliscano vent’anni di conquiste faticose sul campo dei diritti civili. L’oscurantismo più becero”. E c’erano davvero i margini per un intervento militare, dopo questa ritirata così precipitosa? “I margini militari di certo sì. Ma non è questo il punto principale”. 

E qual è? “E’ sapere, ora, cosa si avvia a diventare l’Afghanistan. La formazione del nuovo governo è un segnale chiaro di quanto farlocca fosse la sedicente distensione dei talebani. Non è neanche uno stato canaglia, ormai. E’ uno stato governato da canaglie. Il loro Cdm sarà una sorta di surreale ritrovo di terroristi ricercati: l’equivalente della cupola di Cosa Nostra con Totò Riina, Bernardo Provenzano, e Matteo Messina Denaro. Solo che ad attenderli fuori non troveranno l’Fbi, ma folle osannanti dei loro seguaci”. Addirittura? “Sì, perché ovviamente un paese in cui la sola dialettica politica sarà quella per stabilire il modello di terrorismo più efficiente tra al Qaida filotalebanizzata, e Isis-k, non potrà che diventare la Mecca dei jihadisti di tutto il mondo, la palestra prediletta per i futuri attentatori delle nostre città”.

Insomma, difficile trattare o dialogare con un simile regime. “Evidentemente. Ma bisogna farlo con una postura ferma, essendo cioè esigenti. Mi risulta che certi esponenti del nuovo governo hanno richiesto all’intelligence americana di depennare alcuni loro compagni talebani dalla lista dei ricercati internazionali. Mi chiedo: ma forse i talebani ci hanno rivelato dove si trova il leader di al Qaida, al-Zawahiri? Credo che passi da questo rigore, da questa intransigenza occidentali, anche la possibilità di seguire, d’ora in avanti, la via più ragionevole nei rapporti diplomatici”. Ovvero? “Se è vero, com’è vero, che la grande esigenza del regime talebano sarà trovare denaro per le casse del loro stato, e se è vero che non vogliamo lasciare che sia la Cina l’unica a occuparsi di questo problema, allora dobbiamo pensare a una sorta di Recovery plan afghano, sulla scorta dell’intuizione di Berlusconi. Una serie di finanziamenti da erogare con rate periodiche subordinate al rispetto di certi standard democratici, certificato da un inviato speciale, dell’Onu o dell’Ue, che insieme ai suoi funzionari stili dei report mensili”.

E se questa soluzione fallisce? “Allora resta quella militare. L’ipotesi, cioè, di ricorrere in modo sistemato ad attacchi mirati verso gli obiettivi strategici di al Qaida  o Isis-k. Una soluzione evidentemente rischiosa, ma che a quel punto diventerebbe l’unica alternativa a uno scenario che non voglio neppure prendere in considerazione”. Sarebbe? “Sarebbe che l’Ue rinuncia a qualsiasi ruolo di stabilizzatore dell’area, ripudia i suoi valori di democrazia e resta a guardare Russia e Turchia che guadagnano campo e potenza sullo scacchiere internazionale”. Prospettiva non esaltante, certo. “Una mostruosità. Ma del resto, il sonno dell’occidente…”.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.