(foto di Gabriele Micalizzi)

Private banking coi talebani

Daniele Raineri

I talebani hanno trionfato contro tutti dal punto di vista militare, ma quando si parla di conti pubblici i rapporti di forza e di dipendenza sono rovesciati. Non puoi sparare alla bilancia commerciale

Kabul, dal nostro inviato. Il direttore della banca privata afghana siede in un ufficio liscio e luminoso a distanza di passeggiata da quello che era il palazzo del presidente – scappato tre settimane fa. Ha una scrivania senza nulla sopra tranne un portatile sottile della Apple, ci riceve dopo che il suo segretario con un Apple Watch al polso ci ha fatto fare un po’ di anticamera due piani sotto e ci ha confidato che non riesce mai a raggiungere la giusta soglia giornaliera di calorie consumate. Ci spiega, il direttore, l’outlook – quindi le aspettative nel settore economia – dell’Afghanistan appena caduto in mano ai talebani, ma chiede di non apparire con nome e cognome perché la sua banca commerciale non è come le altre. “Non abbiamo la fila davanti”, sorride, e si riferisce al fatto che tutte le banche di Kabul sono assediate dalla folla di afghani che ritira un po’ alla volta i propri soldi – il limite è di 200 dollari a settimana. Il suo istituto ha relazioni con molti partner all’estero e le informazioni attribuite con nome e cognome andrebbero a condizionare il mercato. 

(Afghani in coda davanti alle banche di Kabul per ritirare soldi. Foto di Gabriele Micalizzi)

 

I talebani hanno trionfato contro tutti dal punto di vista militare e però adesso sono costretti a fronteggiare i problemi economici di un paese che non è mai uscito da quarant’anni di guerra. E quando si parla di conti pubblici i rapporti di forza e di dipendenza sono rovesciati. Non puoi sparare alla bilancia commerciale. “L’Afghanistan ha riserve in dollari pari a nove virgola cinque miliardi, ma il governo degli Stati Uniti le ha congelate. Inoltre il paese contava di ricevere dall’Unione europea un miliardo di euro in aiuti nel 2021, ma il trasferimento di fondi è stato sospeso. Entrambi, Stati Uniti e Unione europea, non hanno bloccato per sempre quel denaro e questa è una cosa positiva, ma hanno detto che prima di prendere decisioni vedranno come si comportano i talebani”. Sul breve termine, dice il direttore, questo è un problema e il nuovo regime lo sa. “C’è bisogno di dollari, è la moneta degli scambi in un paese che acquista quasi tutto all’estero. Il paese è totalmente dipendente dall’estero. Il novanta per cento delle transazioni è in dollari”. Le importazioni valgono sette miliardi di dollari l’anno, le esportazioni valgono settecento milioni di dollari. In pratica l’Afghanistan compra dieci volte quello che riesce a vendere. Per questo, dice il direttore, i talebani devono fare un gioco abile. Devono tenere sotto controllo un paese che hanno conquistato con la violenza e devono riuscire a sbloccare gli aiuti stranieri allo stesso tempo. Basta un imprevisto – qualche testa calda che spara contro i manifestanti in una strada di Kabul – e rischiano di perdere tutto. Avete paura delle sanzioni internazionali, come quelle che fanno soffrire l’Iran vostro vicino? “Sarebbe un disastro. Invece si dovrebbe andare verso l’opposto: niente sanzioni, incluse quelle personali che oggi colpiscono alcuni membri del nuovo governo” (vedi il ministro dell’Interno Sirajuddin Haqqani, capo della rete  terroristica Haqqani). 

Un po’ di aritmetica afghana a spanne. Prima dell’avvento dei talebani il paese per funzionare aveva bisogno di sei miliardi di dollari l’anno. Un miliardo arrivava dalle tasse, il resto dagli aiuti stranieri che ora non ci sono più. Tre miliardi e mezzo erano budget fisso destinato a essere consumato nella guerra (e non spiegano l’esito brillante della lotta contro i talebani) e ora non vanno più contati fra le spese perché è arrivata la pace, seppure talebana. Resta comunque un buco e la sua ampiezza oscilla tra uno e due miliardi di dollari. I talebani devono trovare questa cifra. 

Sul breve termine c’è dipendenza dai vecchi nemici, non tanto vecchi. Sul medio-lungo termine i talebani vogliono rimpiazzare gli aiuti occidentali che arrivavano a pioggia sul governo Ghani con una trama di rapporti commerciali con i paesi vicini. A cominciare dalla Cina. I nuovi padroni vogliono far fruttare le risorse minerarie del paese che valgono – secondo una valutazione grossolana commissionata dal governo americano nel 2012 –  mille miliardi di dollari. Poi in fila ci sono il Qatar, gli Emirati e la Turchia. Non c’è più bisogno di partner lontani, spiega il banchiere, che ha una tendenza irresistibile a normalizzare la situazione, “si punterà sui rapporti con i paesi vicini”. Fuori, davanti alle altre banche, i soldati danno bastonate svogliate per tenere in riga centinaia di persone in fila per ritirare soldi. Un rapido campionamento svela che molti sono altri soldati e poliziotti, rimasti senza lavoro “e ora non si trovano altre occupazioni”. E se i talebani arruolassero? “Accetteremmo”.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)