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Un horror internazionale a puntate

Collasso afghano

Daniele Raineri

Il ritiro dei soldati occidentali dall'Afghanistan accelera la guerra civile in Afghanistan. È una storia che seguiremo

Prologo. Nel 2001 il gruppo terroristico al Qaida attacca Manhattan e il Pentagono e uccide migliaia di persone. Al Qaida è ospite dei fanatici talebani in Afghanistan. Gli americani intervengono, disperdono i talebani e minacciano in privato il loro sponsor, il confinante Pakistan: “Se non cooperate, vi facciamo tornare all’età della pietra a suon di bombe”. Talebani e al Qaida non spariscono. La  strategia è aspettare e combattere una guerriglia di logoramento, prima o poi i governi occidentali si stancheranno dell’Afghanistan. “Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo”, dicono. I servizi del Pakistan aiutano sottobanco. Passano vent’anni. Prima il presidente repubblicano Trump e poi il democratico Biden ordinano il ritiro e annunciano che i talebani faranno la pace con il governo afghano. Ma non c’è nessuna pace. Nelle città, le donne temono il ritorno dei fanatici. 


Ieri il governo italiano e quello tedesco hanno annunciato che il ritiro dei soldati dall’Afghanistan è stato completato, con molto anticipo sulla scadenza teorica (e simbolica) dell’11 settembre. I tedeschi portano via mille uomini dal settore nord del paese, gli italiani novecento da quello est. Entro domenica anche gli americani potrebbero avere completato le operazioni di ritiro, tranne circa seicento uomini che resteranno a sorvegliare l’ambasciata fortificata nel centro della capitale Kabul. Entro pochi giorni gli americani abbandoneranno anche il gigantesco aeroporto militare di Bagram, un’ora di strada a nord di Kabul, la base militare più famosa del paese. 


Martedì il comandante americano, il generale Austin Miller, ha detto che “la guerra civile è di certo un percorso che può essere visualizzato se le cose continuano su questa traiettoria”, che è una frase un po’ arzigogolata per avvertire che dopo il ritiro degli americani e delle truppe Nato è possibile che i talebani e gli afghani che non vogliono finire di nuovo sotto di loro si faranno la guerra. In teoria in questi mesi avremmo dovuto assistere ai negoziati di pace fra talebani e governo afghano per partorire una creatura ibrida e fantastica, metà democrazia elettiva e metà emirato islamico. Invece a partire dal primo giorno di maggio i talebani hanno conquistato circa ottanta nuovi distretti, su un totale di 420. Il conteggio è complicato perché ogni giorno i talebani prendono distretti e ne perdono altri ma in misura minore e quindi controllano sempre più territorio

Bagram fu costruita dai sovietici negli anni Cinquanta, che poi  l’hanno trasformata nel centro delle loro operazioni durante l’occupazione negli anni Ottanta fino al loro ritiro nel 1989. Tre anni dopo, i guerriglieri invasero Kabul e uccisero il capo del governo instaurato dai russi. Gli americani hanno ingrandito la base fino a farla diventare una piccola città militare, con due piste a servire da scalo principale della guerra: una di più di tre chilometri è costata 96 milioni di dollari nel 2006. Gli abitanti attorno a Bagram dicono in questi giorni di sentire esplosioni, sono i soldati che fanno saltare in aria i pezzi di equipaggiamento che non possono portare via. Dentro Bagram c’è anche una prigione enorme con settemila prigionieri, consegnata agli afghani nel 2013. Molti sono talebani e alcuni di loro sono uomini di al Qaida e dello Stato islamico. Dovrebbe essere un luogo protetto bene, sta per diventare un puntino in mezzo all’anarchia. 

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)