Lasciare l'Afghanistan ai talebani

Daniele Raineri

Il ritiro legittimo di Joe Biden vuol dire riconsegnare il paese agli estremisti, che già stanno uccidendo intellettuali e giornalisti per preparare il loro ritorno al potere. L'idea che i talebani faranno compromessi con il governo di Kabul è una fantasia patetica

Il presidente americano, Joe Biden, annuncia dalla Casa Bianca il ritiro totale dei soldati dall’Afghanistan entro l’11 settembre e quindi fa coincidere in modo simbolico la scadenza con i vent’anni esatti dall’attentato di al Qaida a New York e al Pentagono che spinse gli Stati Uniti in guerra. L’accordo con i talebani stretto dall’Amministrazione Trump stabiliva che la data del ritiro avrebbe dovuto essere il primo maggio, che però è ormai fuori discussione perché ci sono dei tempi da rispettare per la logistica del ritiro. Avverrà quattro mesi più tardi. 

 

C’è da sgombrare il campo da alcuni possibili fraintendimenti. Di fatto quel conflitto dell’America era già finito. Nel 2011 c’erano più di centomila soldati al picco massimo delle operazioni, adesso ce ne sono poco più di tremila. Questo vuol dire che il numero dei militari americani in Afghanistan è pari a quello dei vigili urbani di Milano ed è davvero difficile parlare di una forza di occupazione su scala nazionale (che non c’è mai stata) o anche soltanto di una spedizione militare funzionale e capace di vincere contro la guerriglia locale. I soldati sono troppo pochi e lontani dai ruoli di combattimento. Il loro compito da molto tempo è quello di appoggiare le forze del governo centrale di Kabul con la raccolta di intelligence, l’addestramento e i raid aerei guidati – e anche con qualche sporadica operazione antiterrorismo. Però, come vedremo, questo piccolo nucleo americano riusciva ancora a fare la differenza nelle manovre per tenere i talebani lontani dalla capitale e dalle città più grandi. Il secondo fraintendimento è che con questo ritiro approvato da Trump e finalizzato da Biden finirà la guerra in Afghanistan. Il conflitto era già in corso quando gli americani sono arrivati nel 2001 e andrà avanti per molti anni ancora senza di loro. Basta guardare i dati delle perdite del mese di marzo: sono morti 260 uomini del governo centrale e più di 120 civili, la guerra va avanti con furia e il suo peso si è soltanto trasferito per intero sulle spalle dei locali. La presenza degli Stati Uniti è stata una lunghissima parentesi.

 

La decisione di Biden è legittima e nel suo discorso il presidente ha detto che non si può restare per sempre in Afghanistan nell’attesa che si verifichino le condizioni ideali per il ritiro – secondo tutti gli analisti ha ragione, è un evento che potrebbe non arrivare mai. Gli americani hanno un argomento formidabile per non restare in eterno a fare i poliziotti globali dell’Afghanistan: perché, potrebbero dire, non lo fate voi al posto nostro?  Tutti gli altri contingenti stranieri, incluso quello italiano, lasceranno il paese prima o assieme a loro, secondo un principio che Biden descrive così: “Dentro assieme e fuori assieme”, e si riferisce a quando la Nato decise di intervenire a fianco degli americani contro i talebani dopo l’11 settembre 2001. Gli elettori americani hanno votato prima Trump e poi Biden con l’idea che avrebbero messo fine a questa missione così lontana e sta succedendo. 

 

Detto questo, non c’è da farsi illusioni. Abbandonare l’Afghanistan equivale a riconsegnarlo – in gran parte se non proprio tutto – ai talebani, che già adesso stanno vincendo e non si vede proprio perché dovrebbero cominciare a perdere quando gli americani se ne saranno andati. Il rapporto annuale del direttore dell’Intelligence nazionale americana pubblicato martedì dice che “i talebani sono sicuri di poter ottenere la vittoria militare “e che “stanno guadagnando terreno”. Nota anche che “senza la Coalizione per il governo di Kabul sarà difficile tenere alla larga i guerriglieri”. William McRaven, l’ammiraglio dei Navy Seals che guidò l’operazione per uccidere Bin Laden, dice al Washington Post che qualche assetto degli americani come “droni e jet sulle portaerei” resterà nei paraggi per garantire un minimo di prontezza contro al Qaida, che è ancora presente. 

 

Come il bambino olandese che secondo la leggenda tenne per tutta una notte il dito a tappare il buco in una diga e così salvò il paese da un’inondazione disastrosa, così i militari occidentali oggi puntellano la situazione e impediscono il collasso di molte regioni del paese davanti all’avanzata degli estremisti. L’idea che i talebani si metteranno d’accordo con il governo centrale di Kabul – che considerano un gruppetto di fantocci traditori e che non hanno riconosciuto come interlocutore durante i negoziati – per spartire in qualche modo il potere, formare una coalizione mista e recitare al suo interno la parte del partito islamista, occhiuto e rigido e messo lì a difendere le tradizioni, è una fantasia patetica. I talebani vogliono instaurare di nuovo l’Emirato islamico dell’Afghanistan, quello del Mullah Omar (molti dei negoziatori dell’accordo con gli americani sono suoi ex ministri e comandanti), quello che prendeva a cannonate i Buddha di pietra di Bamyan e sparava in testa alle donne sotto il burqa e inginocchiate nello stadio di Kabul. Nelle aree sotto il loro controllo è di nuovo così. Due giorni fa un video proveniente dalla regione di Herat, dove le truppe italiane hanno sorvegliato il territorio e hanno combattuto per molti anni, mostrava una fustigazione: una donna in burqa accucciata e un talebano che la prendeva a frustate. Lo sappiamo perché è avvenuta in pubblico, davanti a decine di testimoni che guardavano in cerchio e filmavano con i telefonini – un congegno che non c’era nel 2001, una delle differenze con l’Emirato di vent’anni fa. I talebani afghani non hanno una piattaforma politica da condividere con il governo di Kabul, non sono i Cinque stelle italiani che in due anni si sono alleati sia con la Lega sia con il Pd, sono talebani veri. O le donne sono libere di studiare all’università oppure devono restare in casa ed essere punite con la frusta per volere di Dio. Non ci sono compromessi possibili a metà strada. E infatti è in corso una campagna segreta per uccidere tutti i possibili oppositori che potrebbero essere voci critiche contro i talebani. E gli estremisti non portano avanti questa campagna nelle zone rurali, che per tradizione sono il loro luogo naturale, ma dentro alle città. Hanno abbattuto decine di attivisti per i diritti civili e di giornalisti, senza rivendicare gli omicidi ma il resto degli afghani vede e capisce. I talebani vogliono riparare i guasti di vent’anni di assenza a modo loro e dissodano il terreno che contano di occupare presto, si infiltrano senza problemi nelle città dalle quali un tempo erano esclusi. Ci sarà molta opposizione contro di loro e altri governi regionali, come la Cina, la Russia e l’Iran, potrebbero aiutare le fazioni anti talebane. Il già citato ammiraglio McRaven dice che anche l’America potrebbe essere costretta a tornare, come è successo in Iraq dove i soldati americani arrivarono a metà 2014 per fare la guerra contro lo Stato islamico. Erano andati via tre anni prima. 

 

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)