M5s, strano ma vero

Salvatore Merlo

L’ex grillino berlusconiano, Di Maio garantista e Raggi coi poteri forti. Una barzelletta

Ogni giorno ha la sua scena, ovvero la pena del M5s. Una dannazione di contraddizioni, di marce indietro, di salti in avanti (o nel vuoto) e di paradossi che hanno trasformato il partito-setta in una organizzazione di massimo libertinaggio. Dal totem all’orgia. Ieri, per dire, Marcello De Vito, quello delle arance a Ignazio Marino, il primo candidato sindaco del M5s a Roma – poi finito in galera – è entrato in Forza Italia. Così. Come si dice a Roma: de botto. “Ho sempre votato centrodestra”. E poi: “Spero che Gasparri diventi sindaco”. E ancora: “Berlusconi è stato il più grande innovatore della politica italiana”. E infine: “Berlusconi è decisamente meglio di Grillo”


Ormai non basterebbero più le 64 posizioni del Kamasutra per illustrare il dettaglio del Movimento 5 stelle che si è messo a testa in giù. Luigi Di Maio inorridisce per la gogna e per le manette. Si scusa e si duole. Virginia Raggi abbraccia Giovanni Malagò, poi incontra Gaetano Caltagirone e diventa pure damina d’onore nel premio Guido Carli, cioè il massimo dei salotti presso Romana Liuzzo (che è la nuova Angiolillo). Poi tutti insieme sostengono pure Mario Draghi, l’ex banchiere centrale di quell’istituzione, la Bce, un tempo definita “usuraia”. Ma chi se lo sarebbe immaginato tutto questo appena tre anni fa? C’è persino Davide Casaleggio che, annunciando di avere “chiuso” per sempre con i grillini, certifica via Facebook che il grillismo ha permesso a una massa di sconosciuti neanche tanto capaci di arrivare alla guida del paese. Sembra una barzelletta. Eppure è tutto vero. Nessuno avrebbe mai pensato che la romanizzazione dei barbari, la trasformazione del Movimento 5 stelle, quel fenomeno che pure aveva incuriosito politologi come Panebianco e Orsina, sarebbe avvenuta così. Con la rapidità surreale dei cinepanettoni.


I Cinque stelle mettono fine in questo modo acrobatico a una pagina densa e sgangherata d’inizio secolo, quella del vaffa senza pensiero e della disperazione, dello stile tracotante e violento, delle battute senza possibilità di replica fatte da Grillo. Lui che adesso si fa silenzioso. Che non domina più, anzi si disinteressa, e asseconda nel mutismo l’assassinio comico della storia tumultuosa cui lui aveva dato origine. Ci manca infatti soltanto che proprio lui, Grillo in persona, fattosi ormai garantista a causa dei guai del figlio Ciro, aderisca a Italia viva, chieda scusa a Maria Elena Boschi e si metta a curare il blog di Matteo Renzi assieme a Rocco Casalino. Paradossale? Sì. Ma tutto può essere in questa scenografia in cui furbizia e stupidità si ingravidano a vicenda.

A riprova che la fine è sempre la perfezione dell’inizio, e cioè che non ci si era sbagliati alcuni anni fa, sul grillismo, quando si citava Elémire Zolla a proposito di tutti i fanatici della storia: “Sovente l’eccesso è segno del contrario di ciò in cui si eccede”. Rivoluzionari autenticamente moderati. Centristi davvero estremisti. In queste contraddizioni c’è infatti il Movimento 5 stelle che si dissipa nell’arte di infinocchiare, nel papocchio. Viene addirittura da pensare che in queste capriole non ci sia il pentimento, né quello nobile né tanto meno quello opportunista, ma quasi soltanto una sagra del surreale. Lo strano ma vero. Puro istinto senza riflessione. In continuità perfetta con gli inizi vaffanculeggianti. Infatti in questo kamasutra di nuove posizioni manca del tutto quella serie di premesse simboliche e cognitive attorno a cui si gioca di solito la partita più riposta per la costruzione del senso. Che in politica ancora conta qualcosa. Appunto: ma che senso ha tutto questo?

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.