La metamorfosi di Casaleggio

Salvatore Merlo

Era “il muto”, ma ora che rivuole la roba non fa che parlare

I suoi ex parlamentari-schiavi adesso si esercitano nell’antica ginnastica del codardo oltraggio, e dunque, come capita a tutti i liberti, vogliono insolentire il padrone decaduto, quello  che per timore un tempo trattavano come fosse il figlio di un genio e non d’un modesto imprenditore  di Ivrea con idee e capelli contorti. Quindi ora i grillini fattisi coraggiosi dicono che “negli ultimi due mesi il muto Casaleggio ha pronunciato più parole che negli ultimi dieci anni”. In effetti qualcosa è cambiata sul serio. Davide si è trasformato. Dichiarazioni irridenti, sberleffi sul blog, interventi polemici su Facebook. Tutto un cimento. Le decisioni dei 5 stelle? “Aspettando Godot”. Le richieste sugli iscritti? “Grottesche”. L’approccio? “Cerchiobottista”. Giuseppe Conte? “Non conosce le norme”, è un “No lex”.  

 

In pratica il silenzioso s’è fatto rumoroso, il mite è diventato battagliero, a tratti minaccioso. Ma se prima non gridava mai, eppure tutti lo sentivano, adesso grida e quelli però non lo ascoltano. E tanto più non gli danno retta, quanto lui alza il tono della voce. “Non finisce qui”, ha detto alla Verità. Questioni di soldi e di potere. E’ chiaro. Lo hanno capito tutti. Il Movimento gli appartiene, e se gli schiavi ammutinati lo vogliono liquidare, ebbene:  che paghino. Salato. Che sgancino quel famoso milioncino. Dunque eccola spiegata  la mutazione del signor Davide, che dominava senza mai scomporsi e senza mai troppo apparire, l’uomo che Grillo prendeva in giro così: “Quando ricevo una telefonata e non parla nessuno è Davide”. Un silenzio elaborato che alimentava una sciocca mistica, giornalistica e politica, certamente servile. Anche una busta vuota, ma sigillata, contiene un segreto. Può mai esistere una sfinge senza mistero? Sì, e infatti lui non stava in vista, ma tutto pervadeva con placido fanatismo. Mentre ora che nulla più pervade, ecco che Casaleggio ritrova la voce, abbandona la mitezza e fora la busta, confermando che il segreto in realtà non è mai esistito. Dunque cerca con affanno la visibilità che prima rifuggiva. Solo che intanto attorno a lui sono spariti tutti, clientes e laudatores. Gli offrivano palchi e interviste. Sfidando il ridicolo gli chiedevano di spiegare il mondo e la tecnologia, l’uomo e il futuro, come se davvero lui fosse  Steve Jobs o Sai Baba. Nessuno infatti rideva quando lui  organizzava un  baraccone enfaticamente battezzato “Olimpiadi delle idee”. Anzi accorrevano. Direttori di giornali e magistrati, manager e conduttori tv. Tutti scomparsi. Puff. Così a Davide  non resta che arrangiarsi come può, sul blog e i social, impegnato a giocarsi il tutto per tutto. Col megafono in mano. Urla: aridatemi la roba, è mia. Me l’ha lasciata papà.

Di più su questi argomenti:
  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.