cortocircuiti a cinque stelle

Non ditelo ai grillini, ma il Recovery ha più condizionalità del Mes (e menomale!)

Valerio Valentini

Nel M5s esultano, ma l'accordo raggiunto a Bruxelles prevede che a vagliare i piani di riforma nazionali sia il Comitato economico e finanziario. Ripudiare il Fondo salva stati ormai è illogico

Dicono che il Mes no, non s'ha da prendere mai e poi mai, perché "ci sono le condizionalità". E poi, però, ecco che i parlamentari e i ministri del M5s esultano come se avessero vinto i mondiali di calcio per l'accordo raggiunto dal Consiglio europeo sul Recovery fund, che di "condizionalità" ne ha ben più che il Mes, e ben più stringenti. Il che, a ben vedere, è una forma di garanzia, per il nostro paese, e non una minaccia come vorrebbe Matteo Salvini e il suo prode alfiere antieuro Alberto Bagnai, promosso per evidenti meriti sul campo a responsabile economico della Lega. 

 

Ebbene, l'accordo ottenuto al termine dell'estenuante vertice europeo, che dispone per l'Italia l'invidiabile somma di 209 miliardi tra prestiti e sussidi, stabilisce un percorso ben preciso per ottenere quei fondi. Lo si legge all'articolo 19 delle Conclusioni del Consiglio europeo, dove si afferma che i piani nazionali di riforme, quelli che l'Ue dovrebbe finanziare, verranno valutati nel giro dei due mesi successivi alla loro presentazione. Questa valutazione si baserà su vari criteri: se le misure adottate servono oppure no a incrementare la crescita del pil, se servono oppure no alla creazione di posti di lavoro e se servono oppure no ad aumentare la resilienza economica e sociale dello stato membro in questione. Su tutti questi parametri, il paese che richiede il finanziamento dovrà ottenere il voto più alto previsto nella graduatoria ("the highest score of the assesement"). Inoltre, anche l'effettivo contributo alla transizione verde e digitale rappresenta una condizione preliminare ai fini di una valutazione positiva. Eccole, dunque, le famigerate condizionalità: l'Unione europea vuole accertarsi che le riforme finanziate coi suoi soldi servano ad aumentare la crescita e il benessere economico e sociale dell'Europa. Uno scandalo, vero?

 

Il punto dirimente, però, è un altro. E riguarda l'organismo che sarà chiamato a preparare le valutazioni su cui poi la Commissione si dovrà esprimere. In sostanza: chi fornirà alla Commissione le informazioni necessarie per stabilire se un piano nazionale merita di essere finanziato oppure no? Lo si spiega chiaramente nelle Conclusioni. La commissione – si legge – dovrà chiedere il parere del Comitato economico e finanziario sul completo soddisfacimento dei parametri più importanti  di breve e medio termine ("milestones and targets"). Procedure e lessico che non sono poi così lontani da quelli della famigerata Troika. 

 

E da chi è composto il Comitato economico e finanziario? Ne fanno parte gli alti funzionari dei governi e, in determinate circostanze, quelli delle banche centrali degli stati membri, oltreché i tecnici della Bce e della Commissione. Spesso sono i direttori generali del Tesoro, o dei loro rappresentanti, a partecipare alle riunione del Comitato. Che è poi lo stesso Comitato che prepara le riunioni dell'Ecofin e dell'Eurogruppo, ovvero le riunioni dei ministri dell'Economia e delle Finanze degli stati membri dell'Ue e dell'Eurozona. Quando, ad esempio, bisogna decidere sulle procedure d'infrazione da disporre nei confronti dei vari paesi, è il Comitato economico e finanziario che ne discute, prima di inviare le carte all'Ecofin. 

 

Ora, le Conclusioni redatte dal Consiglio europeo la scorsa notte prevedono che, nel caso in cui anche un solo paese dovesse ritenere non soddisfacenti i parametri di chi chiede di accedere al Recovery fund, il caso venga sollevato davanti al presidente del Consiglio europeo, che può a quel punto decidere di discutere l'argomento all'interno del Consiglio stesso, ovvero insieme ai vari capi di stato e di governo. E' questo, in sintesi, il "freno di emergenza" voluto dall'Olanda: è questo, cioè, il sedicente "diritto di veto" che consente al premier Mark Rutte di dire ai suoi cittadini: "Tranquilli, se noi non siamo d'accordo, nessun paese otterrà un euro". In realtà non è esattamente così. Perché, nel caso in cui un paese premesse questo "freno d'emergenza", spetterebbe al Consiglio europeo nel suo complesso – e nel termine massimo di tre mesi dopo la richiesta di valutazione inviata al Comitato economico e finanziario – trovare una decisione, attraverso la cosiddetta procedura del consenso: ovvero, in sostanza, un accordo che soddisfi un po' tutti (com'è stato nel caso del Recovery fund, approvato dopo quattro giorni e quattro notti di discussione). 

Il meccanismo è insomma molto complesso, com'è inevitabile che sia nel caso di finanziamenti così consistenti finanziati attraverso risorse comunitarie. Ma il punto è un altro. Com'è possibile rifiutarsi di richiedere i prestiti del Mes, se si esulta per il Recovery fund? Com'è possibile accettare di buon grado questo sistema di valutazione da parte di un Comitato formato dai funzionari dei vari governi e delle varie banche centrali, e poi considerare come un oltraggio alla sovranità nazionale il fatto che a giudicare sui prestiti del Mes sia un comitato composto, appunto, dai 19 ministri delle finanze dell'eurozona? Com'è possibile glorificare un accordo che esige il rispetto di parametri giustamente stringenti, e poi stracciarsi le vesti davanti a un meccanismo, quello del Mes, che chiede semplicemente di utilizzare i fondi per la spesa sanitaria diretta e indiretta? Sono queste le domande che Giuseppe Conte dovrà porre al suo partito di riferimento, e il Movimento 5 stelle. 

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