Tutto quello che c'è da sapere dell'accordo europeo sul Recovery fund

David Carretta

All'alba del quinto giorno di negoziati è stata trovata l'intesa. La governance del fondo e il Bilancio Ue. Lo stato di diritto e il clima. Vincitori e vinti e che cosa ha ottenuto l'Italia

Bruxelles. L'accordo è arrivato alle cinque e trenta del mattino, al quinto giorno di negoziati lunghi e estenuanti, più di 90 ore di maratona, 35 minuti prima del record stabilito dal vertice per il trattato di Nizza nel 2000. Ed è un'intesa che ha un vincitore e uno sconfitto. Il vincitore è l'Unione europea che ha preso la decisione storica di emettere 750 miliardi di debito comune per finanziare 312,5 miliardi di sussidi verso i paesi più in difficoltà. Lo sconfitto è l'Unione europea perché il prezzo dell'accordo è stato di rinunciare a molte delle ambizioni che si era data. “Questo accordo sarà visto come un momento cardine nella storia dell'Europa”, ha detto il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che è stato abile nel riuscire a chiudere il negoziato, condotto con il metodo appreso quando era primo ministro del Belgio: trattative infinite logoranti, durante le quali a ciascuno viene concesso un po' di quello che chiede, fino a quando non sono tutti d'accordo. Anche il piccolo e ricco Lussemburgo ha ottenuto una mancia da 100 milioni, mentre a Malta sono stati concessi 50 milioni ad hoc.

  

Così sono sempre andate le trattative sul bilancio Ue. In passato si tagliava su ricerca, Erasmus e garanzia giovani per preservare la politica di coesione e l'agricoltura. Questa notte si è tagliato su sanità, Green deal, ricerca, e investimenti a livello Ue per fare in modo che gli stati membri abbiano più risorse possibili da gestire direttamente nelle capitali. L'intesa "riduce la parte innovativa del bilancio", ha detto Ursula von der Leyen: “È increscioso”.

 

En passant, è stato sacrificato lo stato di diritto. Ma questi sono dettagli, perché alla fine l'accordo è davvero storico e senza precedenti dal punto di vista finanziario. “Giornata storica per l'Europa”, ha detto il presidente francese, Emmanuel Macron, subito dopo il “deal” annunciato da Michel. “Questa decisione presa oggi trasformerà il volto del progetto europeo in modo durevole”, ha spiegato il presidente del Consiglio europeo. “L'Europa ha dimostrato di essere in grado di aprire nuove strade in situazioni molto speciali”, ha detto Angela Merkel. “Abbiamo approvato un piano di rilancio ambizioso e adeguato alla crisi che stiamo vivendo”, ha dichiarato Giuseppe Conte. Semplicemente impensabile quattro mesi fa, considerata improbabile appena una settimana fa, l'intesa va a completare la risposta senza precedenti a una crisi senza precedenti messa in piedi con il pacchetto di 540 miliardi per la linea di credito pandemica del Mes, Sure e la Bei e i 1.350 miliardi di acquisti titoli della Bce.

  

Recovery Fund

Il negoziato al vertice è ruotato in gran parte sul Recovery Fund, il suo ammontare, la ratio tra sussidi e prestiti, le condizionalità sulle riforme e la governance, in un lungo braccio di ferro tra 22 Stati membri e i quattro frugali (Paesi Bassi, Austria, Danimarca e Svezia) a cui si è aggiunta la Finlandia. Il punto di partenza era la proposta della Commissione, confermata da Michel di 500 miliardi di sussidi e 250 miliardi di prestiti. Alla fine, se l'ammontare complessivo di 750 miliardi è stato confermato, nei cinque giorni è cambiata sostanzialmente la distribuzione dei fondi: 390 miliardi di sussidi, vicino alla linea rossa dei 400 miliardi di Francia, Germania, Italia e altri, ma appena sotto della soglia dei 400 miliardi che i frugali avevano deciso essere inaccettabile. Il trucco di Michel è stato di non tagliare i sussidi che saranno gestiti direttamente dai governi nazionali, ma solo quelli che dovevano transitare via la Commissione e la Bei. Le risorse per gli Stati membri sono passate da 310 a 312,5 miliardi. Quelle per i programmi Ue sono state falcidiate, in particolare per investimenti, ricerca e fondo di transizione del Green deal. Alcuni strumenti – come quelli per fronteggiare le crisi sanitarie transfrontaliere e per la ricapitalizzazione delle imprese – riceveranno zero fondi. Rimane il fatto che è la prima volta che la Commissione può prendere a prestito sui mercati per concedere sussidi. Appena una settimana fa i quattro frugali avevano escluso questa ipotesi.

  

La governace del Recovery Fund

Oggetto del contendere tra Conte e Rutte, il compromesso trovato per la governance del Recovery Fund pende a favore del primo ministro olandese che ha ottenuto un “super freno di emergenza” per i paesi che non fanno le riforme. I paesi beneficiari delle risorse Ue dovranno rispettare le raccomandazioni specifiche per paese della Commissione (comprese quelle del 2019), oltre agli obiettivi del Green deal e della digitalizzazione. Il testo finale prevede “milestones” e “targets”, che ricordano i salvataggi della Grecia e altri paesi della zona euro ai tempi della Troika. Sarà la stessa Commissione a valutare i piani nazionali di riforma, che però dovranno essere approvati dal Consiglio (i governi) a maggioranza qualificata. In caso di dubbi sul rispetto degli impegni di riforma di un paese, uno Stato membro potrà bloccare la decisione di sborsare i fondi del Recovery Fund deferendo la questione al Consiglio europeo, dove i capi di Stato e di governo decidono per consenso. Le parole "veto" e "unanimità" non compaiono. Ma nella sostanza è così, anche se la storia insegna che raramente questi meccanismi vengono utilizzati. Tuttavia c'è il rischio di una dilatazione dei tempi per ottenere gli aiuti: due mesi per la valutazione della Commissione, quattro settimane per la decisione del Consiglio, altri tre mesi per il Consiglio europeo.

  

Il bilancio Ue

Charles Michel è riuscito almeno a preservare la sua proposta iniziale di bilancio 2021-27 dell'Ue. Il tetto massimo fissato per i prossimi sette anni è di 1074,3 miliardi. Sono stati confermati un po' di tagli alla coesione e all'agricoltura, con un aumento delle risorse per la modernizzazione del budget come ricerca, digitalizzazione, migrazioni e sicurezza. Tuttavia rimangono i famigerati rebates, gli sconti per i maggiori contributori netti sul modello di quello ottenuto da Margaret Thatcher per il Regno Unito negli anni 1980. Anzi aumentano: l'Olanda passa da 1,576 a 1,921 miliardi, la Svezia da 798 a 1,069 miliardi, l'Austria da 237 a 565 milioni, la Danimarca da 197 a 377 milioni. Unica eccezione è la Germania, che ha preferito restare ferma a 3.671 miliardi l'anno. Ma i Paesi Bassi incassano un altro regalo: la quota che possono trattenere come costo per i dazi doganali che ricevono dall'Ue sale dal 20 al 25 per cento. Sulle risorse proprie, che dovrebbero anche contribuire a rimborsare il debito del Recovery Fund senza pesare sugli Stati membri a partire dal 2028, l'accordo è molto modesto. L'unica certa è una tassa sulla plastica a partire dal 2021. Su carbon tax alla frontiera e digital tax ci sono solo vaghi impegni di una possibile entrata in funzione nel 2023. Sugli scambi di emissioni, la Commissione è invitata a presentare una proposta.

  

Lo stato di diritto e il clima

Lo Stato di diritto è stato totalmente sacrificato sull'altare dell'accordo del Recovery Fund. Il testo finale ne fa appena menzione, ma nell'ambito della protezione degli interessi finanziari dell'Ue, e non in casi di rischi gravi o avverati di violazione dello Stato di diritto. La Commissione è stata invitata a presentare un meccanismo che prevede il voto a maggioranza, ma di fatto si troverà senza denti per mordere l'Ungheria o la Polonia. L'altra vittima parziale è il clima, con una condizionalità annacquata sull'obiettivo della neutralità climatica entro il 2050. Anche il taglio al Fondo per la transizione giusta nell'ambito del Recovery Fund è considerato un risultato al di sotto delle aspettative di molti.

  

Vincitori e vinti

Uno dei grandi vincitori del Vertice è Rutte. Il premier olandese è riuscito a far indietreggiare l'asse Merkel-Macron, imponendosi come capofila dei frugali. Torna all'Aia con un rebate sostanzialmente più alto rispetto al passato, un fondo speciale per gli effetti secondari della Brexit da 5 miliardi e soprattutto potendo rivendicare il diritto di veto agli esborsi per Italia e Spagna, se i governi di Roma e Madrid devieranno dagli impegni sulle riforme.

 

Tra i vincitori c'è anche Viktor Orban. Il premier ungherese ha saputo sfruttare la possibilità di bloccare tutto il negoziato per costringere i leader più duri sullo Stato di diritto a mollare. Secondo la stampa ungherese, Orban avrebbe anche strappato la promessa di Merkel di porre fine alla procedura dell'articolo 7. La versione della cancelliera è più ambigua. “L'Ungheria ha concordato di fare tutti i passi necessari nell'ambito della procedura Art.7 in modo che una decisione al Consiglio possa essere presa. La presidenza tedesca ha promesso di portare avanti questo processo per quanto nelle sue competenze", ha detto il portavoce di Merkel, Steffen Seibert. La cancelliera tedesca ha fatto quanto promesso: costruito ponti per arrivare a una svolta, anche a costo di caricare sulle spalle della Germania gran parte del costo della solidarietà e di abbandonare alcune linee rosse.

 

Macron, per contro, ha dato l'impressione di essere a ruota della cancelliera senza mai incidere davvero sulle sue priorità dichiarate (Orban lo ha perfino ringraziato per il contributo sullo Stato di diritto). Eppure senza Macron un Recovery Fund così ambizioso non avrebbe mai visto la luce. Tra i leader comunitari, Michel è senza dubbio riuscito a rilanciare le sue sorti di presidente del Consiglio europeo, dopo una serie di vertici che si erano conclusi con un fallimento. La grande perdente è Ursula von der Leyen, praticamente scomparsa durante le trattative. La presidente della Commissione ora si troverà con molti meno soldi per portare avanti la sua agenda. L'altro sconfitto è il Parlamento europeo, che per bocca del suo presidente David Sassoli ha minacciato più volte il veto in caso di compromesso al ribasso. Ora dovrà decidere se far saltare un accordo storico, considerato essenziale per cercare di riprendersi dalla crisi del Covid-19, oppure accettare l'umiliazione di rimangiarsi la parola.

  

 

L'Italia

Tra i vincitori del Vertice c'è anche Giuseppe Conte. Al netto della retorica nazionale e della propaganda del suo portavoce, tutta incentrata sullo scontro con Rutte, il presidente del Consiglio ha negoziato bene, affiancato dalla sua squadra di diplomatici. Prima del Vertice, Conte aveva saputo conquistarsi la fiducia di alcuni leader chiave come Merkel e Rutte grazie al piano Colao, agli Stati generali e al decreto Semplificazioni. Nelle trattative notturne si è battuto, ma ha anche saputo fare marcia indietro quando annusava il rischio di rottura, come sul “super freno di emergenza” nella governance. Conte è riuscito a sfruttare l'empatia creata dalla catastrofe Covid-19 in Italia per ottenere molto più di quanto sperasse quando scriveva lettere con altri leader sui Coronabond. Secondo i calcoli di Palazzo Chigi, l'Italia dovrebbe ottenere complessivamente 208,8 miliardi dal Recovery Fund, molti più dei 172,8 della proposta della Commissione. Sui sussidi c'è un leggero calo (da 81,8 a 81,4 miliardi), ma l'Italia potrà beneficiare di una quota di prestiti molto più alta (da 90,9 a 127,4 miliardi). Conte ha ottenuto anche una soluzione ponte efficace per avere soldi già quest'anno, in attesa che il Recovery Fund entri in funzione nel 2021: date le circostanze eccezionali, saranno eleggibili gli investimenti per la ripresa effettuati a partire dal 1 febbraio 2020.

 

Malgrado la Brexit, l'Italia è l'unico paese che trae beneficio dal bilancio 2021-27, ma più per demeriti del paese che per meriti di Conte. Con la caduta del pil, aumentano i fondi di coesione destinati alle regioni italiane, mentre sull'agricoltura si limitano i danni. Comunque sia, per i prossimi sette anni, l'Italia passerà da contributore a beneficiario netto: verserà all'Ue meno di quanto riceverà dall'Ue. Ma la parte più difficile per Conte inizia adesso. Dopo l'accordo storico al Vertice Ue, tocca al suo governo preparare un piano di riforme serio e metterlo in pratica rapidamente per ottenere gli aiuti del Recovery Fund, senza correre il rischio che qualcuno faccia scattare il “super freno di emergenza”. Le condizionalità andranno rispettate subito. I prestiti andranno rimborsati. Dopo l'ora della solidarietà Ue, per Conte scatta la sfida della responsabilità.

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