Clemente Mastella (foto LaPresse)

Mastella ci spiega perché nella querelle tra Di Matteo e Bonafede ha vinto Conte

Annalisa Chirico

"Il premier è il solo con un piano preciso per il proprio futuro". "Il ministro della Giustizia? Dopo le rivolte dei detenuti e la scarcerazione dei boss mafiosi, il suo prestigio istituzionale è a pezzi”. Chiacchierata con l'ex Guardasigilli

“Bonafede, nella vita, poteva far tutto fuorché il ministro della Giustizia”, a Clemente Mastella la performance dell’attuale Guardasigilli non convince per niente. Eppure il giudizio tranchant è poca cosa se paragonato al duello telefonico, andato in onda a “Non è l’arena” su La7, tra Alfonso Bonafede e il consigliere togato del Csm Nino Di Matteo. “Nessuno si aspettava una querelle così scomposta tra due fondamentalisti pronti a incarcerare chiunque. Per il ministro è l’ennesima brutta figura: dopo le rivolte dei detenuti e la scarcerazione dei boss mafiosi, il suo prestigio istituzionale ne esce a pezzi”. Di Matteo è una icona dell’antimafia militante, portato in trionfo dal M5s, incoronato “uomo dell’anno” da Beppe Grillo, ospite celebratissimo da Casaleggio jr. in occasione della commemorazione del padre a Ivrea. “Come diceva Nenni, c’è sempre il più puro che ti epura. Di Matteo l’ha infilzato nel momento di maggiore debolezza, si è preso una rivincita a due anni di distanza dalla mancata nomina”.

 

 

Il ministro ha tirato in ballo Giovanni Falcone dichiarando di avere proposto a Di Matteo, in alternativa al Dap, la direzione degli Affari penali che appartenne al magistrato palermitano. “Io mi guarderei bene dal citare il nome di Falcone in modo così strumentale. Bonafede non ha la statura per guidare via Arenula, e non mi riferisco alle competenze giuridiche, che peraltro non dovrebbero difettare a un avvocato. Parlo dell’autorevolezza e della tempra politica indispensabili per chi vuole interagire con il mondo giudiziario. Adesso si ritrova attaccato da un magistrato da sempre venerato dai 5 Stelle alla stregua di una divinità”.

  

 

Il premier Conte e il ministro Di Maio sono intervenuti in sua difesa con molte ore di ritardo. “L’imbarazzo è palpabile. Si consideri poi che la gestione dell’emergenza coronavirus in carcere è stata orripilante: abbiamo assistito a sommosse in stile Sudamerica, ci sono decine di infettati tra detenuti e personale penitenziario, il ministro ha dimostrato di non avere la benché minima idea di come fronteggiare la crisi. I 5 Stelle poi vivono un travaglio interno. Non sanno più dove andare: sono tra il già e il non ancora. Conte è il solo che oggi ha un piano preciso per il proprio futuro: è stato capace di guadagnarsi quel minimo di autorevolezza che manca sia a Di Maio sia a Di Battista”.

 

Nel silenzio generale del Csm tre membri laici, in quota pentastellata, sono intervenuti per esprimere un generico appello alla “cautela nelle esternazioni”. “Mi sembra un po’ poco, rispetto alle dimensioni della vicenda. Pur non essendo un estimatore di Bonafede, ritengo a dir poco arrembante la condotta di Di Matteo, tutta volta alla ricerca della ribalta mediatica”. Massimo Giletti si è chiesto retoricamente che cosa sarebbe accaduto se un tale episodio si fosse verificato nell’èra Berlusconi. “Glielo dico io: sarebbe stato accusato di connivenza mafiosa l’intero governo!”.

 

 

Forza Italia e Lega chiedono le dimissioni di Bonafede, il Pd nicchia. “Ho letto il tentativo di difesa dell’ex ministro Andrea Orlando ma so bene quanto lo stesso Orlando abbia criticato diversi provvedimenti voluti da Bonafede. Quella del Pd mi sembra una difesa dettata dalla ragion di stato: in assenza, cade il governo”.  I 5 Stelle, dopo averlo voluto a capo del Dap, hanno scaricato Francesco Basentini: da pm si era intestato l’inchiesta Tempa rossa, un tritacarne mediatico per il governo Renzi, finito con un buco nell’acqua. “Certe coincidenze fanno riflettere. Basentini era sostituto procuratore a Potenza, privo del prestigio richiesto a chi viene designato per ricoprire quel ruolo. Io, da ministro, nominai Ettore Ferrara, già consigliere del Csm e presidente del Tribunale di Napoli”.

 

Nel 2008 lei si dimise da via Arenula dopo l’arresto di sua moglie in una inchiesta molto mediatica. “Il gip di Santa Maria Capua Vetere firmò l’ordinanza della misura cautelare trasferendo per competenza gli atti a Napoli, una prassi riservata solo ai mafiosi. Aveva ragione Cossiga…”. Che intende? “Quando mi offrirono di guidare il ministero della Giustizia, mi confrontai con il presidente che, per prima cosa, mi mise in guardia: un attimo dopo la nomina, tre o quattro procure cominceranno a indagare su di te e sulla tua famiglia. Mettiti l’anima in pace e accetta”. Profezie by Cossiga.