Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Conte, il mago Oronzo

Salvatore Merlo

Sì al Mes, recovery bond e nemmeno un fiato dei grillini. Fenomenologia di un governo ai limiti del possibile

Roma. Il ministro che pretende l’anonimato è uno di quelli molto importanti, non solo al governo, ma nel partito che lo esprime, cioè il Pd: “I grillini non faranno una piega”, ci dice. “Il Consiglio europeo varerà il Mes senza condizioni, il 23 aprile. E noi lo useremo. E contestualmente saranno annunciati anche i recovery bond”. Il trionfo di Giuseppe Conte, insomma, il mago Oronzo della politica italiana, capace, con la sola imposizione dell’“interlocuzione” – cioè incartando i problemi nel linguaggio da azzeccagarbugli – di neutralizzare, anestetizzare, addormentare e aggirare le fisime irrazionali di una parte del Movimento cinque stelle. Luigi Di Maio ieri ha capito tutto, e infatti dicono sembrasse il postiglione di un biroccio funebre, ma imbalsamato. Da settimane agitava l’antico euroscetticismo dei grillini, che è risorto assieme a una galassia di account social no euro storicamente legati al M5s. Ma si sente impotente Di Maio. Conte è uno dei suoi. Non può prenderlo di petto. Ed ecco allora uno dei segreti di Conte, ciò che lo rende (al momento) insostituibile. 

 

Solo Conte tiene a stento insieme in Parlamento i grillini sbandati, la galassia vaffanculista esplosa e in via d’estinzione nel paese, quel gruppo di persone cui la paura di scomparire in questi giorni di passione sta provocando due tipi di reazione diverse, anzi opposte. Spinge alcuni ad aggrapparsi al Pd e al governo, come a un tronco galleggiante nel mare in tempesta, ma spinge anche tanti altri disperati – tra cui Di Maio – a rimescolare a piene mani nelle sozzerie delle origini: “L’offerta della Merkel, sant’Angela patrona d’Europa? Abbiamo subìto fin troppo i diktat dei nipotini di Hitler e degli stati canaglia suoi complici!”, ha eruttato Elio Lannutti, senatore del M5s.

 

Ed ecco allora la magia del Mago Oronzo, Giuseppe Conte, il cui sortilegio si alimenta di tutte le fetecchie, le sparate, le stranezze irrazionali e al limite del suicida di un Parlamento che gli italiani, alle elezioni del 2018, hanno riempito di estremisti ed emarginati, nazionalisti padani e professionisti dello sfascio, quel brodo primordiale che costituisce di gran lunga la maggioranza sia alla Camera sia al Senato e che a giugno del 2018 aveva prodotto l’indimenticabile governo del cambiamento. E infatti, ogni volta, quando alcuni suoi vecchi amici, anche nel Pd, tentano di versargli nelle orecchie melodrammatiche parole di paura, quando gli fanno notare che ci vorrebbe competenza e autorevolezza, che insomma si potrebbe anche tentare di portare Mario Draghi a Palazzo Chigi (o Fabio Panetta), ecco che Sergio Mattarella risponde quasi automaticamente con parole che suonano all’incirca in questo modo: “E chi lo voterebbe in Parlamento?”. E questo vale anche per i piani sghembi di quanti, conoscendo il rapporto che esiste tra Mattarella e Dario Franceschini, suggeriscono al presidente l’ipotesi di un cambio in corsa: Dario al posto di Giuseppe.

 

Ma nel 2011, Mario Monti poté diventare presidente del Consiglio soltanto perché Silvio Berlusconi, l’uomo che per vent’anni era stato raccontato dalla sinistra come una specie di mostro delinquenziale, preso atto del pericolo di un default dello stato, mise la sua imponente maggioranza parlamentare al servizio del professore e del suo governo di ottimati. Ma oggi quale forza responsabile dovrebbe sostenere un governo autorevole? “La pizza si fa con la farina di cui si dispone”, è una frase che pronunciano alcuni frequentatori del Quirinale. E la farina sono i Cinque stelle, il partito di maggioranza relativa, il partito isterico e deflagrato che solo l’incongrua malìa notarile e gli arzigogoli verbali di Conte – rafforzato dalla sola esistenza fisica del suo alter ego e quasi miglior alleato Matteo Salvini – tengono (a stento) insieme, e governano. Secondo un modello che non è certo Beppe Grillo e nemmeno Cavour, ma forse il manzoniano conte (nomen omen) duca don Gasparo Guzman, che faceva “perdere la traccia a chi che sia, e quando accenna a destra si può essere sicuro che batterà a sinistra”. Ecco allora che il 23 aprile, dopo il Consiglio europeo, “il mai Mes” di Conte diventerà un sì al Mes, ma tra mille capriole, ingarbugliamenti, vaste nubi di nuovo gas, a riprova che l’intera operazione politica battezzata Contebis aveva sin dall’inizio il solo scopo di prendere il Parlamento più antieuropeista e più pazzo del mondo, e fargli fare il minimo delle stupidaggini e il massimo consentito delle cose normali. Governare alla meno peggio in una situazione impossibile per chiunque, tranne che per il mago Oronzo. Finché dura.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.