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Non criticate le dirette Facebook dei politici, agli italiani piacciono

Luca Roberto

Secondo un rapporto curato dall'Istituto Piepoli per l'Osservatorio nazionale sulla comunicazione digitale di PA Social, 7 su 10 gradiscono la comunicazione sui social. E pensano che lo smart working sia qui tra noi per restare

Uno degli aspetti secondari dell'emergenza sanitaria è stato il modo in cui la politica ha scelto di comunicare le diverse evoluzioni di quell'emergenza. C’è stato chi ha fortemente criticato l’abitudine di ricorrere ai social network per rendere note decisioni di rilevanza pubblica. Lo scenario è noto. Dalla fine di febbraio in poi, a carattere quasi quotidiano, si sono succedute le dirette Facebook del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Spesso senza alcun contraddittorio, in barba alle logiche di una vera conferenza stampa, e in orari molte volte incompatibili con la necessità di raggiungere un pubblico universale. Così com'è diventato un appuntamento fisso quello dei presidenti di Regione o degli assessori o di sindaci particolarmente attivi che, a cadenza giornaliera, ragguagliano i loro cittadini con la lettura degli ultimi dati a disposizione della Protezione civile locale. Secondo una ricerca commissionata all’Istituto Piepoli dall’Osservatorio nazionale sulla comunicazione digitale di PA Social, però, la gran parte degli italiani apprezza questa forma di comunicazione.

 

Ben l’80 per cento ricerca informazioni sui profili dei vari enti (tra i 18 e i 34 anni, lo fa circa il 90 per cento), e circa 7 su 10 giudicano favorevolmente l’utilizzo di Facebook, Twitter, Instagram, Whatsapp o altre applicazioni per dare comunicazioni di carattere istituzionale. Il 26 per cento del campione si dice “abbastanza” favorevole, il 42 per cento “molto”. In questo caso i più “convinti” sono gli ultra 55enni. Segno che l'intervento degli esponenti politici viene accolto come servizio alla collettività.

  

Il rapporto cerca anche di fare luce su quanto una situazione così fortemente emergenziale possa in realtà accelerare il processo di digitalizzazione della società italiana. Il 60 per cento, si scopre, ha già adottato lo smart working come modalità lavorativa. Il 21 per cento di essi lavora in media 4 ore al giorno (il 35 per cento ha più di 54 anni), mentre solo una minoranza, il 6 per cento, più di 8 ore giornaliere. Per il 90 per cento lo strumento di lavoro principale è il pc, poi lo smartphone (32 per cento) e le piattaforme di conference call (utilizzate da circa un quarto degli intervistati).

 

“L’emergenza ha acceso un faro enorme sul digitale, sugli strumenti di comunicazione e informazione come social e chat, sulle modalità di lavoro smart, tematiche che, purtroppo, non sempre sono state messe al centro dell’agenda e delle politiche del Paese” spiega Francesco Di Costanzo, presidente dell’Associazione PA Social. Per 9 italiani su 10 tornare indietro non sarà possibile: le acquisizioni di pratiche che il digitale ha messo loro a disposizione rappresentano un bagaglio di competenze che è destinato a stravolgere, anche quando l’emergenza pandemica ce la saremo lasciata alle spalle, le dinamiche produttive cui erano abituati. Ed è una caratteristica trasversale a tutte le generazioni, ai neolaureati che abitano le grandi città come agli ultra 50enni delle periferie meridionali.