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Ma quali fake news sul virus, “l'informazione sta dando buona prova di sé”

Piero Vietti

Il direttore di Sky TG24 Giuseppe De Bellis ci racconta come “cambia il giornalismo” durante la pandemia

Roma. Investito dall’emergenza del coronavirus, il mondo dell’informazione è stato costretto ad accelerare cambiamenti a cui sembrava refrattario. Giornali, siti internet e tv si sono trovati a dovere fare i conti con isolamenti forzati, smart working, quarantene e una necessità sempre più grande di avere notizie chiare sulla pandemia. Per sopravvivere ci si deve reinventare, e forse più degli altri sono stati i canali televisivi all news a essere stati cambiati fin da subito, nell’organizzazione e nei contenuti. “Siamo un grande gruppo televisivo con il cuore pulsante a Milano, nel centro dell’epidemia italiana – racconta al Foglio Giuseppe De Bellis, direttore di Sky Tg24 – Abbiamo lavorato da subito per farci trovare pronti, è stata una sfida produttiva ed editoriale fin dal primo istante. A fine febbraio abbiamo  trasformato la redazione di Roma in centro di produzione, portando lì una regia. Dopo il lockdown e un caso interno a Milano di contagiato eravamo in grado di trasmettere il tg e le nostre rubriche da Roma”. Non l’unico cambiamento organizzativo dettato dal virus.

 

Dal 3 aprile ogni giorno per un’ora il tg è condotto da casa dei giornalisti: “Siamo una squadra di circa 300 persone, ora la maggior parte lavora da casa, con giornalisti e montatori che lavorano in remoto e insieme producono i servizi, o inviati che stanno in giro senza rientrare, montando i servizi in esterna. Da due mesi raccontiamo ora dopo ora l’evoluzione con sistemi di sicurezza che prima non immaginavamo neanche: microfoni personalizzati, troupe fisse per al massimo due giornalisti. In generale sei più smart nelle scelte, usi la tecnologia mescolando il linguaggio della tv e del digitale come mai prima”. Assistiamo a un ribaltamento: “Non è la tv che contagia il digitale, ma il linguaggio digitale che entra nella tv, ad esempio con un certo tipo di approfondimenti”. E’ un discorso che vale per tutto il mondo dell’informazione: si lavora in condizioni che non sono le migliori, ma “molti riti e certezze che avevamo su di noi e sul rapporto con il pubblico sono stati modificati”. Mentre tutti pensavamo che il virus sarebbe stato soltanto un aspetto, importante, delle nostre vite, “il mondo dell’informazione è stato tra i primi a capire che quello che stava succedendo non era una notizia, non era l’11 settembre, ma qualcosa che sarebbe diventata la nostra vita. La domanda ‘quanto spazio diamo al virus?’ è superata: tutto quello che racconti è nel ‘contenitore virus’, non solo l’emergenza sanitaria ma anche lo sport, la cultura, l’economia, gli spettacoli. Anche sui giornali si parla di tutto alla luce dell’impatto che ha il virus”.

 

Serve equilibrio tra allarmismo e sottovalutazione. Bene “affidarsi alla scienza” per le notizie, ma  abbiamo visto fior di esperti contraddirsi . “Vero. Soprattutto all’inizio molti hanno sbagliato, tanti governi hanno corretto il tiro. Io credo che gli scienziati debbano fare gli scienziati, i politici i politici, gli imprenditori gli imprenditori. Noi ci siamo affidati alla scienza per come trasferire le informazioni ai telespettatori, ma è la politica, con l’indispensabile supporto della scienza, a dovere decidere quando e come riaprire. Solo ora, dopo un mese, ognuno sta capendo qual sia il proprio ruolo. Ci vorrebbe più univocità, almeno sulle domande fondamentali, quelle sui test, su come tracciare i malati e quanto, su come ragionare a proposito di ripresa”. C’è confusione: “Troppe comunicazioni dall’alto in basso da parte di tutti. La gente vuole risposte chiare, banalmente lo capisco dal successo che hanno i nostri contenuti che provano a spiegare la situazione e informare rispondendo a domande”. Il canale ha registrato una grande crescita di ascolti in queste settimane, la tanto bistrattata informazione tv ha dei pregi.  “Il tentativo di spiegare i numeri confusi della Protezione civile è venuto più dai giornalisti che dalla scienza”.
 E le fake news? “L’informazione sta dando buona prova di sé – chiosa De Bellis – Quasi tutte le notizie false che circolano sono state svelate come tali, arginate”. E senza bisogno di comitati ad hoc. “La tentazione di volere essere i primi a dare l’ultima notizia sta un po’ passando: la situazione è grave e si cerca sempre una verifica di più”. Resisterà questo cambiamento? “Per giornali e  tg i luoghi fisici delle redazioni sono importanti: lì nascono idee, ci sono discussioni, confronto. Oggi il pubblico si immedesima nelle difficoltà dei giornalisti, e viceversa. Il tg a casa funziona adesso, in condizioni normali il pubblico preferisce l’informazione in studio. Ma tutto questo ci aiuterà a capire che molti modi che avevamo di lavorare erano già superati. L’idea che si possa lavorare bene anche a distanza farà parte del nostro futuro. L’informazione può governare questo cambiamento. Cambierà il modo di andare allo stadio, cambierà il modo di fare un tg, un giornale, un sito”.

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.