Il triage allestita all’ospedale di Cremona per gestire l’emergenza coronavirus (foto LaPresse)

Contro la retorica dell'Italia irresponsabile

Claudio Cerasa

Politica, celebrità e aziende. Lode all’Italia che si fa in quattro contro il virus. La nostra raccolta per lo Spallanzani

Quando c’è una pandemia globale che arriva a infettare centinaia di migliaia di persone, che arriva a uccidere fino a cento persone al giorno nella seconda potenza industriale d’Europa, che arriva a mettere in quarantena un’intera nazione, che costringe un paese a chiudere buona parte dei suoi esercizi commerciali e che arriva a diffondersi tra gli esseri umani anche in assenza di sintomi, di fronte a tutto questo, essere ottimisti non è semplice neppure per vecchi ottimisti come noi, che tendono a guardare il mondo cercando di concentrarsi più sul bicchiere mezzo pieno che su quello mezzo vuoto. Eppure, per quanto possa essere difficile questo tentativo, di fronte al dramma di un’Italia chiusa, infettata, sfiancata, al limite del collasso, c’è un paese che salvo alcuni casi di irresponsabilità sta dimostrando di sapere reagire, sta dimostrando di saper fare i conti con i problemi, sta dimostrando di aver capito che avere paura non è un reato e sta dimostrando di avere qualche buon anticorpo per fare i conti con quella che è diventata la più grave emergenza mai registrata dal nostro paese dal Dopoguerra a oggi.

 

C’è un’Italia che ancora si affolla sui treni, che ancora si ammassa sul litorale, che ancora prende d’assalto i supermercati, ma c’è anche un’Italia che in questi giorni sta dando il meglio di sé e che si sta impegnando con tutte le sue forze per fermare il virus, per fermare il contagio e per aiutare chi ha bisogno di aiuto. E’ l’Italia in cui il governo, pur commettendo ovviamente errori – ma chi non li commetterebbe di fronte a una pandemia –, trova il coraggio che altri paesi non hanno ancora trovato, decidendo ogni giorno di chiudere a poco a poco un pezzo del paese. E’ l’Italia in cui i sindaci invitano i cittadini a restare a casa. E’ l’Italia in cui i politici la smettono di litigare per mettere insieme le idee necessarie per provare a fermare il contagio. E’ l’Italia in cui Ferragni e Fedez utilizzano i propri follower sui social, aprite internet!, per raccogliere finanziamenti per la terapia intensiva dell’Ospedale San Raffaele, e in meno di ventiquattro ore arrivano a raccogliere tre milioni di euro. E’ l’Italia in cui grandi banche, come Intesa Sanpaolo, stanziano 100 milioni di euro per la ricerca contro il coronavirus. E’ l’Italia in cui il gruppo Armani stanzia un milione e 250 mila euro per alcuni ospedali di Roma e Milano. E’ l’Italia in cui Esselunga dona 2 milioni e mezzo agli ospedali.

 

E’ l’Italia in cui i portieri si organizzano per fare la spesa agli anziani, in cui i supermercati si organizzano per portare a casa il cibo, in cui i negozi di elettrodomestici si organizzano per portare a casa ciò che è necessario e in cui, come ci racconta Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna, può capitare di vedere cittadini che, in città come Piacenza, la mattina presto portano anonimamente le brioches davanti agli ospedali o le lasciano sul cruscotto delle ambulanze, può capitare di passare davanti ad alcuni ospedali delle regioni più colpite trovando post it di anonimi sulle vetrate degli ingressi per ringraziare gli operatori sanitari, può capitare che le Asl si ritrovino ad avere donazioni inaspettate, può capitare di ricevere lettere di associazioni di imprese che donano sull’unghia, come successo ieri in Emilia-Romagna, 50 mila euro alla sanità regionale.

 

Ci vorrà forse ancora del tempo per essere pienamente coscienti di quello che sta succedendo, ma l’impressione che si registra in queste ore è che un pezzo non minoritario d’Italia abbia capito che stare fuori di casa è pericoloso, che questo virus non è una banale influenza, che per far ripartire l’Italia bisogna avere il coraggio di fermarsi e che in fondo restare per qualche giorno lontano dalla socialità potrebbe essere meno drammatico del previsto, avendo la possibilità di utilizzare tutti gli strumenti che la tecnologia ci ha offerto negli anni per poter fare in casa quello che un tempo si poteva fare solo uscendo di casa: ordinare il cibo su Deliveroo o su Glovo, vedere le serie tv su Netflix, Sky e su Amazon, dialogare con gli amici su Whatsapp, lavorare in video con Skype, comprare un libro su Kindle, mantenere i rapporti con i contatti su Facebook, curiosare tra le vite degli amici su Instagram, comprare i giornali sull’edicola digitale, fare la spesa sui portali dei supermercati, e così via. Provare a prendersi cura del nostro paese stando sul divano è uno sforzo che forse possiamo permetterci di fare (sperando che i posti di blocco aumentino nelle città). E nell’attesa che il peggio sia passato – e purtroppo ancora ce ne vorrà – per chi vuole, il nostro giornale da oggi inizia a raccogliere fondi per sostenere gli infermieri della terapia intensiva dell’ospedale Spallanzani di Roma. Stiamo a casa e proviamo nel nostro piccolo a salvare l’Italia.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.