Alfonso Bonafede (foto LaPresse)

Poker sulla testa di Bonafede

Salvatore Merlo

La prescrizione diventa una partita d’azzardo tra Renzi e Franceschini. Assi e molti bluff, chi molla prima?

Roma. “Perché privare le patrie discoteche del talento di Dj Fofò? Restituiamolo alle sue vere inclinazioni”. Alle cinque del pomeriggio Matteo Renzi ha già deciso, ancora prima di riunire i gruppi parlamentari di Italia viva. E a chi lo va a trovare comunica, con aria di sfida irridente, che la mozione di sfiducia individuale nei confronti di Alfonso Bonafede, ovvero Dj Fofò, ministro della Giustizia, è pronta. E’ scritta. Potrebbe essere consegnata già stamattina al Senato. “Vogliono giocare a poker con me? Benissimo. Vado a vedere il bluff”. 

 

E Renzi ce l’ha con Dario Franceschini, soprattutto. Il suo avversario al tavolo da gioco. I due si osservano con fissità torbida, gli occhi rossi e le dita a sfilare ingannevoli assi di poker. Il ministro della Cultura, sostenitore delle virtù d’una puntigliosa stabilità di governo, è quello che ha dato il via libera alla strategia dura contro Italia viva. Nessun cedimento, sulla prescrizione si fa come dice il Pd, anche a costo di passare per mezzi grillini. Franceschini ha così contribuito a innescare un meccanismo, quello della sfida al rialzo, al rilancio, che tuttavia è abbastanza congeniale a Renzi. Un meccanismo pericoloso.

 

 

Qualche settimana fa, Franceschini aveva incaricato alcuni suoi collaboratori di fare calcoli e proiezioni, alla Camera e al Senato, per verificare la capacità di tenuta della maggioranza senza i voti dei renziani. E l’aveva fatto sapere in giro. “Alla Camera ce la facciamo anche senza di loro”. Bluff? E allora Renzi aveva subito alzato la posta sul pasticcio della prescrizione, minacciando di non votarla. Contro bluff? Franceschini aveva a quel punto fatto spallucce. “Non romperà mai, vuole partecipare al giro di nomine pubbliche, figuriamoci”. Così adesso Renzi, in questo gioco a chi sputa più lontano, dice testualmente che voterà, sì, ma una mozione di sfiducia al ministro grillino della giustizia. Boom!

 

A poker tuttavia non si può rilanciare all’infinito, prima o poi qualcuno va a vedere le carte dell’altro. E più ci si avvicina al momento della verità, più il gioco comincia a farsi pericoloso, perché le carte possono anche prendere il sopravvento, persino sulle intenzioni dei giocatori. Bisogna anche sapersi fermare. Ma non è facile, specie quando sulla freddezza del calcolo, sulla razionalità e sul cinismo, precipitano sentimenti d’orgoglio e di rivalsa, gli ingredienti fatali d’una vicenda classica. “Vogliono andare avanti con questo obbrobrio della prescrizione? Facciano pure”, diceva allora lunedì sera Renzi, con sintomatica percussione delle parole. “Noi votiamo la sfiducia a Fofò”. Cade il governo? “Amen”. L’azzardo, il rischio. Per uno come Renzi la minaccia del naufragio è stimolante al massimo, per vincere deve sentire alle spalle il brontolio del tuono. Ma Franceschini? (Merlo segue a pagina quattro)

 

Franceschini è un tipo d’uomo diverso, non privo di spigoli, ma mosso da un’audacia tranquilla è anche uno che maneggia il baratto politico come una cosa ovvia, naturale e riposante, con familiarità. E se ha accettato di giocare a poker con un giocatore avventuroso come Renzi è improbabile che non abbia considerato tutte le eventualità, anche quelle apparentemente più rischiose e che riguardano la natura e la composizione della maggioranza di un governo cui lui tiene, com’è noto, moltissimo. In extremis, per ricomporre, Franceschini dovrebbe mollare le carte, rinunciare al rilancio e far rinfoderare oggi al governo il cosiddetto lodo Conte sulla prescrizione. Possibile? Sì. Ma da mesi Franceschini ripete alle persone con le quali parla espressioni che suonano all’incirca così: “Vedrete che i rimescolamenti in questa legislatura non sono finiti. Anzi, sono appena iniziati”. Chissà. Sono parole che lasciano pensare che la partita di poker possa anche avere un esito diverso. I responsabili? La scissione di Forza Italia? L’ingresso di un nuovo gruppo a sostegno del governo qualora Italia viva andasse via? Tutto è possibile, tutto è verosimile, tutto è credibile e tutto rientra in questa partita di poker, all’interno di un rapporto complicato, sul ciglio della rottura, sempre sottoposto al rischio di qualche agghiacciante equivoco. Un gioco al quale Renzi, ovviamente, si presta volentieri. “Se devo andare all’opposizione ci vado con piacere, non vedo l’ora”, diceva lunedì sera. E poi, minaccioso come una tagliola: “Ma potrebbe anche darsi che finisca in un altro modo…”, le maggioranze si scompongono e si ricompongono seguendo traiettorie anche imprevedibili, persino per Franceschini. Così lunedì le parole “governo Draghi” scivolavano sulle labbra di Renzi, facendo balenare l’ombra di uno specchietto allusivo, perché sono le due parole che a dicembre pronunciò Giancarlo Giorgetti, l’architetto di retrovia della Lega, quando propose un governo di unità nazionale.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.