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Tornare al Nazareno

Valerio Valentini

Franceschini: “Sulla giustizia avete la posizione della Lega”. E Boschi: “Chi ti dice che questo mi imbarazza?”

Roma. Chissà come doveva apparire sgraziata la frenesia che ieri mattina avvolgeva l’ingresso della sede del Pd, da dietro le tende degli uffici Mediaset, pochi metri più in là, dove Gianni Letta e Fedele Confalonieri hanno il loro presidio romano, e dove quella parola che tanto spesso viene utilizzata nelle cronache politiche – Nazareno – risuona ancora con l’eco di un rimpianto: un filo spezzato anzitempo che avrebbe dovuto cucire una tela così diversa da quella che poi invece è stata tessuta. Deve pensarlo anche Renzi che è un po’ da lì, da quel patto, che bisogna ripartire, visto che il suo deputato Davide Bendinelli assicura che “stavolta Matteo deve andarseli a prendere davvero gli elettori moderati del centrodestra”.

     

E forse è anche per questo, per riallacciare i rapporti con quel mondo berlusconiano ormai in decadimento, che Renzi ha imboccato la via dello scontro muscolare sulla prescrizione. “Certo che al Senato terremo il punto”, dice Giuseppe Cucca, reduce dal vertice serale di giovedì a Palazzo Chigi. “Noi voteremo contro questo pasticcio voluto da Bonafede e dal Pd, e poi vedremo – prosegue – se qualcuno ha intenzione di aprire la crisi”. Non arretrare, dunque: questo è l’ordine diramato alle truppe da Renzi. Il cui obiettivo da un lato è quello, fin troppo dichiarato, di accreditarsi come l’unico vero riformista. Strategia che a suo modo qualche effetto inizia a produrlo, se da due giorni la chat della corrente gueriniana, “Base riformista” appunto, è in fibrillazione, col sottosegretario ai Trasporti Salvatore Margiotta che addirittura si interroga “preoccupato” su quel certo dilagante davighismo nel Pd, Stefano Ceccanti che prova a difendere “una brutta vittoria che è comunque meglio di una bella sconfitta”, e un po’ tutti a domandarsi quanto a lungo potrà durare questa teoria per cui “sappiamo che Renzi ha ragione ma non possiamo dargliela”.

  

Ma poi c’è l’altra ansia di Renzi, ed è forse quella che con più forza lo spinge alla battaglia sulla prescrizione. Ed è, appunto, “ricucire col Cav., ritornare al Nazareno insomma”, come dice Bendinelli, che in Italia viva c’è entrato lasciando il suo ruolo di coordinatore di FI in Veneto. E forse è anche per questo che al culmine della tensione durante il tribolato vertice di giovedì, quando Dario Franceschini è sbottato con Maria Elena Boschi dicendole che “sulla giustizia avete le stesse posizioni della Lega”, lei ha reagito con un’alzata di spalle: “E chi ti dice che questo mi imbarazza?”.

  

Del resto quella sulla giustizia è, per Renzi, una sfida troppo allettante perché possa rinunciare a combatterla. “Perché è chiaro che la vera sfida al centro, per Matteo, è quella che lo vede opposto a Conte”, analizza Gianfranco Rotondi, dando voce a quell’area che, dentro e fuori dal Parlamento, osserva “questa gara un po’ spericolata tra due frecce tricolori che fanno acrobazie sopra lo stesso cielo della politica romana”. Renzi e Conte, appunto. Che se la Dc esistesse ancora, dice Rotondi, “forse troverebbero il modo di convivere sotto lo stesso tetto”. Ma siccome ognuno sogna di annichilire l’altro, e monopolizzare lo spazio conteso, “è evidente che sulla prescrizione Renzi – prosegue Rotondi – sa di poter guadagnare su Conte dei punti in questa sfida, perché per il premier dovere avere a che fare con Bonafede, che non è esattamente Martinazzoli, è uno svantaggio”. E che il fu “avvocato del popolo” debba camminare sul filo sottile che corre tra l’apparire intelligente e il non scontentare il M5s, lo dimostra il suo imbarazzo nel dover dichiararsi “né giustizialista né garantista”, come se il mantenerla o l’abolirla, la prescrizione, in fondo fossero la stessa cosa.

  

E ovviamente non c’è solo la giustizia. Perché tra qualche giorno arriverà la grana delle concessioni ad Autostrade, e poi quella dell’Ilva, e poi le mille follie su cui i grillini neppure la accettano, la logica della mediazione politica, perché ogni cosa per loro è “una battaglia identitaria”. E infatti Luigi Marattin, uomo dei conti di Iv, scuote la testa: “Ci accusano di porre veti, di fare ricatti, di pretendere cose che per gli alleati sono inaccettabili. Ma se il punto è che il M5s non può essere ‘umiliato’, allora anche su Autostrade e su Ilva dobbiamo rassegnarci a dei compromessi obbrobriosi?”. Segno, evidentemente, che proprio per mettere nell’angolo il rivale più temuto, Renzi è pronto a sfidarlo in tutti i campi in cui Conte sarà costretto a correre con la palla del grillismo attaccata al piede. Anche così spera di accaparrarsele lui quelle decine di parlamentari che gravitano nell’orbita di un centrismo per ora ancora potenziale, che osserva le mosse dei due alfieri del centro per capire a quale affidarsi, pur concordando su un punto: la legislatura deve durare. Al Senato c’è ancora una massa informe, modellata un po’ da Paolo Romani e un po’ dai fedelissimi di Lorenzo Cesa; alla Camera la pattuglia radunatasi intorno a Mara Carfagna torna ora a muoversi in ordine sparso, stanca dell’attendismo di lei, e pare più attratta da Renzi che da Conte. Come lo sono anche quei giovani pupilli del Cav., come Alessandro Cattaneo e Matteo Perego, che attendono che maturino i tempi per il trasloco, e che tra loro sospirano che “certo quei tempi s’accorcerebbero eccome, se i due, Renzi e Berlusconi, si vedessero”. Come in un nuovo Nazareno. E chissà che dietro alle tende degli studi romani di Mediaset, a due passi dalla sede del Pd, non ci si stia già lavorando.

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