Foto LaPresse

Una crisi di governo ampiamente esagerata

Claudio Cerasa

Esiste un accordo tra i Matteo? Perché Renzi parla di “operazione Draghi”? Calma. Le geometrie trasformiste offrono ancora agli anti sovranisti una buona occasione per cuocere a fuoco lento il nazionalismo. Il M5s è out e le rotture si possono evitare

Per la prima volta da quando è nata, la maggioranza che sostiene il secondo governo Conte si trova in una situazione di oggettiva difficoltà numerica per via di un problema politico al momento di difficile risoluzione: il destino della legge sulla prescrizione.

 

Giovedì sera, tre dei quattro partiti che sostengono l’esecutivo, Pd, M5s e Leu, hanno trovato un accordo per modificare la legge Bonafede, stabilendo una creativa distinzione tra condannati e assolti, con lo stop della decorrenza della prescrizione solo per i primi, ma il patto di governo è stato sonoramente bocciato dal partito guidato da Matteo Renzi, il quale ha fatto sapere – a chi ieri glielo ha chiesto – che lunedì prossimo, quando l’accordo sarà votato in Consiglio dei ministri, darà mandato alle sue due ministre di votare contro. A lasciare intendere con una certa chiarezza che il dissenso manifestato da Italia viva sulla prescrizione è qualcosa in più di un semplice incidente di percorso è una frase consegnata ieri alle agenzie dal capogruppo al Senato del partito di Renzi, Davide Faraone, che commentando un’uscita poco felice del presidente del Consiglio (“Non chiedetemi se sono garantista o giustizialista. Queste contrapposizioni manichee vanno bene per i giornali”) ha risposto così: “Chi mette giustizialismo e garantismo sullo stesso piano è un populista. Conte è un populista, culturalmente lontano anni luce da noi, degno leader del nascente partito unico Pd/M5s. Noi invece sappiamo bene da che parte stare, orgogliosamente garantisti senza se e senza ma”. A voler stare ai numeri traballanti della maggioranza – ma quale maggioranza non lo è stata negli ultimi anni? – il futuro del governo potrebbe essere in teoria a rischio: al Senato, al momento, il Conte Bis può contare su 169 voti ma senza i 17 voti di Italia viva la maggioranza per approvare le modifiche alla legge Bonafede verrebbe meno (in quel caso però il risultato paradossale sarebbe quello di lasciare così com’è la legge, non avendo la maggioranza anti Bonafede – ovvero il centrodestra allargato a Renzi – i numeri sufficienti alla Camera per poter eliminare del tutto il provvedimento: siamo tra i 286-290 voti). Ma prima di pensare agli scenari possibili vale la pena porsi una domanda: esiste davvero qualcuno che all’interno della maggioranza possa avere un qualche interesse nel tirare giù il governo facendo un regalo a Salvini?

 

Se fosse vera la teoria dell’accordo segreto tra i due Matteo, il ragionamento potrebbe anche tenere: Renzi ha un patto con Salvini per governare con lui al prossimo giro e per poter realizzare questo piano ha bisogno di portargli lo scalpo del governo. La teoria dell’accordo presenta però un problema di fondo non indifferente: se i sondaggi sono veri e se il partito di Renzi è tra il 3 e il 5 per cento, qualora si dovesse andare a votare la maggioranza per governare Salvini ce l’avrebbe senza bisogno dell’eventuale aiuto di Renzi. E dunque, di che stiamo parlando? La corsa verso le elezioni è una fake news, mentre un caso differente è costituito da un altro scenario che è quello a cui l’ex segretario del Pd si riferisce quando in privato parla di “operazione Draghi”. In poche parole: iniziare a bombardare questo governo, accusare il Pd di essere come il M5s, trovare un pretesto dopo la tornata delle nomine per ritirare i ministri e dopo le regionali tentare di dare una spallata al premier cercando un profilo ancora più tecnico per allargare la maggioranza sul modello Ursula. Il problema di questo scenario è che se Renzi dovesse tentare di dare una spallata al governo la maggioranza Ursula (Pd, M5s, Forza Italia) potrebbe prendere forma anche senza di lui, considerando che una truppa di senatori di Forza Italia, Renzi o non Renzi, è pronta da settimane a staccarsi per dare a questa maggioranza il sostegno giusto per andare avanti (quando ricapita al Cav. di avere un Parlamento in cui ha più senatori di Salvini?).

 

Avere in testa il quadro politico può essere utile per fare un ragionamento che c’entra più con la strategia e c’entra meno con il retroscenismo. E la questione in fondo è semplice. Prescrizione a parte – sulla quale se il Pd volesse si potrebbe ancora raggiungere un compromesso di buon senso, chiedendo al M5s di posticipare il voto sulla legge Bonafede di qualche mese, non prima di aver approvato una riforma che aiuti ad accelerare i tempi dei processi – gli unici due partiti con i calzoni lunghi presenti all’interno del governo dovrebbero rendersi conto di un fatto semplice: di fronte a loro hanno una buona strada da percorrere per far pesare ai grillini la loro ritrovata irrilevanza. Chi oggi pagherebbe un prezzo molto alto per la caduta del governo, più ancora del Pd e forse più ancora di Renzi, è ovviamente il M5s e per quanto il segretario del Partito democratico non sembri essere particolarmente entusiasta rispetto alla prospettiva di governare con una maggioranza trasformista (“Nessuno pensi di allungare la legislatura con il trasformismo e con un Parlamento in uno stato puramente vegetativo!”, ha detto ieri in direzione) le geometrie della fase trasformista offrono invece agli antipopulisti una buona occasione per cuocere a fuoco lento il nazionalismo salviniano. Sarebbe sufficiente dividersi i ruoli: Renzi fa quello che il Pd non si può permettere di fare, battagliare forte con i grillini, e il Pd finge di essere in disaccordo con Renzi e poi media tra i due contendenti, sapendo che il contendente teoricamente più forte è in realtà al momento quello più debole. La battaglia sulla giustizia giusta è una battaglia sacrosanta ma una crisi di governo, a oggi, è ampiamente esagerata, oltre che essere del tutto sconsigliata.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.