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“Svolta? Al Pd servono un congresso vero e un nuovo patriottismo europeo”. Parla Bonafè

David Allegranti

L'europarlamentare e segretaria del Pd toscano ci spiega perché la sfida lanciata da Zingaretti non deve essere solo un'operazione cosmetica

Roma. È perplessa, Simona Bonafè, europarlamentare, vicepresidente dei Socialisti & Democratici a Bruxelles, segretaria toscana del Pd alle prese con le difficili elezioni della primavera prossima. La “svolta” di Zingaretti non le sembra infatti una svolta: “Il segretario dice che non pensa a un nuovo partito, ma a  un partito nuovo. Sono le stesse parole che ho sentito da Veltroni nel 2007 quando è nato il Pd. Allora era veramente un partito nuovo, fuori dalle ideologie, moderno. Comunque, raccolgo la sfida di Zingaretti e dico anche io: cambiamo. Per me però l’intuizione di Veltroni del 2007 rimane valida, è la stessa che ci ha portato al 34 per cento con Veltroni e al 40 per cento con Renzi. Se però accettiamo la sfida di Zingaretti, non servono cambiamenti di facciata come quello sul nome, che è una malattia tutta italiana: cambiare il nome per non cambiare niente. Se il nuovo partito è quello di una sinistra al 18 per cento che si allea con i Cinque stelle, direi che non ci siamo. Discutiamo di ciò che non ha funzionato in questi oltre dieci anni ma ritroviamo le radici del Pd, il socialismo, il liberalismo, il popolarismo cattolico. Allarghiamoci pure a sardine, Fridays for Future ma anche alle partite Iva, che sono i nuovi sfruttati del mondo del lavoro, come si vede nel bellissimo film di Ken Loach”.

 

E con i Cinque stelle che fare? “Con loro ci governiamo, e siamo noi il perno di questo governo, la cui azione va rilanciata. Però non possiamo limitarci a essere solo governisti. Il Pd deve tracciare un progetto più ampio che sia da quadro alle azioni di governo. Un dibattito tutto spostato sull’alleanza ci fa perdere di vista la prospettiva. Parliamo di alleanze proprio mentre i Cinque stelle stanno implodendo. Preoccupiamoci piuttosto di cosa siamo noi oggi e di cosa non va. L’alleanza di governo con i Cinque stelle è stata fatta in un momento di difficoltà per il paese ma per me finisce quando finisce il governo. Pensiamo piuttosto a come recuperare i voti di chi non ci vota più e quelli di chi un tempo sceglieva M5s, questo sì”.

 

Quanto al congresso, “se deve essere, e non dobbiamo decidere adesso quando farlo, che sia un congresso vero, non per tesi. Altrimenti si chiama conferenza programmatica. In un congresso vero invece si discute non solo di tesi ma anche di gruppi dirigenti e di linea politica”. Anche perché così, dice Bonafè, “possiamo occuparci di un altro problema, il principale direi: l’anima del Pd. Come ha scritto il direttore del Foglio, il patriottismo europeo deve diventare la chiave identitaria del Pd per contrapporsi al progetto politico autoritario, illiberale, sovranista, di chiusura, della destra. Queste crisi internazionali in Medio Oriente e nel mediterraneo stanno dimostrando in maniera incredibile quanto la stessa Europa sia in grandissima difficoltà. Non è solo un problema geopolitico ma di difesa dei nostri interessi economici. Proprio di fronte a queste crisi internazionali, solo l’Europa, intesa non come mera sommatoria di stati sovrani, come la vorrebbe Giorgia Meloni o come talvolta sembra che la voglia Matteo Salvini quando non intende cancellarla direttamente, può reggere. Altrimenti se resta una sommatoria di debolezze di fronte a potenze postdemocratiche, teocratiche e autoritarie non giocherà più alcun ruolo negli scenari globali. E sia chiaro, la debolezza dell’Europa non dipende da Bruxelles ma dagli Stati membri”.

 

Insomma, dice Bonafè, l’Italia da sola “non va da nessuna parte. Ma nemmeno la Francia o la Germania. Prendiamo per esempio la questione della competitività: in un sistema globalizzato come il nostro, come pensiamo di poterci muovere come singolo paese?”. Altra questione è il Green deal (“La lotta al cambiamento climatico prevede un radicale cambio di sistema di produzione”) e “il tema grosso come una casa che è l’equità sociale e fiscale. Chi se non l’Europa può intervenire sulle multinazionali che eludono le tasse pagandole non dove generano profitti ma dove è per loro più conveniente? La questione delle diseguaglianze è fortemente legata anche alla giustizia fiscale”. Insomma, questi sono “i temi veri del nuovo patriottismo europeo, che potrebbe spiazzare i Cinque stelle ma anche la destra. Sono questi temi veri di cui deve parlare il Pd se vuole essere davvero un partito nuovo”. Altrimenti è solo un’operazione cosmetica.

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.