Matteo Salvini a Strasburgo (foto LaPresse)

Il dilemma Ppe apre una spaccatura nella Lega (non solo a Bruxelles)

Valerio Valentini

L’eurodeputata Gancia (Lega): “Restare in Id è nefasto”. I Salvini boys temono le mosse di Giorgetti. E il “Capitano” tentenna

Roma. A sentire Gianna Gancia, non c’è alcun dubbio. “Restare in Identità e Democrazia, insieme alla Le Pen, è stata una scelta nefasta”. E però l’europarlamentare della Lega, piemontese di Bra, compagna di vita e di militanza di Roberto Calderoli, parla col tono accorato di chi, anche stavolta, non verrà ascoltata. “Lo vado ripetendo dall’inizio della legislatura, che non possiamo rimanere isolati. Ne avevamo già discusso nel gruppo: avremmo votato per la von der Leyen pur non entrando in maggioranza, ma almeno ci saremmo smarcati dagli estremisti. Perfino il M5s è stato più furbo di noi”. Solo che poi, Marco Zanni, ha cambiato idea. “Sì, per un puntiglio personale. Forse si aspettava un trattamento diverso, un riconoscimento”. E insomma la soluzione sarebbe chiara: “Entrare nel Ppe, certo. Magari transitando prima in Ecr”, il gruppo dei Conservatori e riformisti dove stanno anche i deputati di Fratelli d’Italia, “così da iniziare a rompere il cordone sanitario che ci taglia fuori da tutto”. Il che, evidentemente, servirebbe non solo alla Lega di Bruxelles, ma anche a quella romana, se davvero ambisce a governare. “Certo, è politica spicciola questa. Ma a quanto pare non tutti la capiscono”.

 

Non la capisce neppure Matteo Salvini, però: che, forse anche per ribadire la sua ferma volontà di restare nel gruppo degli ultrasovranisti, il 2 dicembre sarà ad Anversa, sul palco dei nazionalisti fiamminghi di Vlaams Belang, pure loro in Id. E col farlo, proverà a placare le tensioni che crescono, nel gruppo europeo del Carroccio, e che alle orecchie del capo vengono riportate da Alessandro Panza, vero ufficiale di collegamento tra Via Bellerio e Bruxelles. Perché la Gancia non è certo la sola a sperare nell’approdo nel Ppe: la stessa posizione è condivisa, seppure più timidamente, dal veneto Toni Da Re e dalla laziale Simona Baldassarre. I quali, però, hanno ben poca libertà d’azione, costretti come sono a seguire le direttive di Zanni, ex grillino e pupillo di Claudio Borghi, feroce oppositore dell’euro e di Mario Draghi, che ad abbandonare il dorato isolamento dell’estremismo non ci pensa neppure: “Mai con il Ppe”. Che è poi è quello che dice anche Lorenzo Fontana, vero regista del Carroccio in Europa.

 

Un’anarchia che d’altronde riflette il disorientamento totale della Lega in tema di politica estera. Archiviata per necessità la fase di filoputinismo espressa da Claudio D’Amico e Gianluca Savoini, rigettate anche le velleità di leadership dell’ex forzista Guglielmo Picchi, ora le redini del partito in tema di geopolitica stanno, formalmente, nelle mani di Zanni. Il quale viene peraltro sfruttato, magari a sua insaputa, da chi come Donald Tusk, nel Ppe, non vuole affatto acconsentire all’ingresso della Lega, se non altro per le affinità elettive del Carroccio col Pis polacco. In tutto questo, Salvini tace, e decide di non decidere. Sa che da un lato deve alimentare la sua Bestia, che mai non empie la bramosa voglia d’insulti alla Merkel e Macron: quindi figurarsi. “Hai visto che bomba, il putiferio che abbiamo montato sul Mes?”, si vantava nel fine settimana uno dei Morisi boys. Dall’altro, invece, ha Giancarlo Giorgetti, che ancora pochi giorni fa ha provato a strigliare i colleghi di partito: “Ma davvero pensate che in Europa permetteranno che noi governiamo, fintantoché siamo alleati coi neonazisti di Afd?”. E a chi gli oppone scetticismo (“Noi alleati della Merkel? Come lo spieghiamo ai nostri elettori?”), l’ex sottosegretario a Palazzo Chigi spiega che in realtà entrare nel Ppe consentirebbe alla Lega di fare fronte comune con Orbán e tenerla sotto perenne ricatto, la Merkel, piuttosto che sostenerla passivamente. Il tutto, ovviamente, nel contesto di una crescente intraprendenza dei consigliori del capitano (Morisi e Andrea Paganella in primis) che temono un avvicinamento al Ppe anche perché questo sancirebbe un rafforzamento dello stesso Giorgetti.

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