Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Renzi, Salvini e il Pd. Tutti sognano davanti alle stelle cadenti

Valerio Valentini

Di Maio ripudia l’alleanza pensando al proporzionale mentre i leghisti cercano di irretire i grillini allo sbando

Roma. Un po’ per la sua inattitudine alla stasi, un po’ forse per l’eco fosca dei ragionamenti di Giancarlo Giorgetti che già andava predicando sul fatto che “paradossalmente, il nostro trionfo in Umbria rafforza la maggioranza”, sta di fatto che Matteo Salvini ha diramato subito il dispaccio, mentre ancora si stappavano le bottiglie di spumante per la vittoria di Donatella Tesei: “Bisogna convincere una ventina di grillini a venire con noi – ha detto l’ex ministro dell’Interno ai suoi fedelissimi – prima che l’area di governo si allarghi”. E che quello sia il rischio, lo ha segnalato d’altronde anche Lorenzo Fontana, durante un’assemblea coi parlamentari del Carroccio martedì scorso: “Fate attenzione ai nostri alleati di Forza Italia. Da noi, nel Nordest, si stanno muovendo, e speriamo che non siano in molti che vadano a sostenere l’esecutivo”. Il riferimento, nella fattispecie, era a Davide Bendinelli, il coordinatore degli azzurri in Veneto che medita un imminente passaggio con Italia viva, e che però per ora resta guardingo: “Noi – dice – dovremmo innanzitutto interrogarci su di noi, e sul nostro risultato per niente brillante in Umbria. Hanno ragione di esultare Lega e FdI, non noi”.

 

E però, guarda caso, la stessa strategia dello scouting sui grillini invocata da Salvini è perseguita anche da Matteo Renzi: “Il governo non rischia – spiega l’ex premier a chi lo interpella – ma bisogna stare attenti a una decina di grillini che potrebbe rispondere al richiamo leghista. Per questo, le porte di Iv sono aperte anche a quegli esponenti più validi del M5s, e ce ne sono”. Perché è evidente che, tanto più la legislatura è bloccata (checché ne dicano Nicola Zingaretti e Andrea Orlando), tanto più il Parlamento diventa fluido, scomponibile e ricomponibile, con buona pace della coerenza. “A volte non lo dico neppure ai capigruppo”, ha detto ai suoi deputati Salvini, che pure in questa commedia dovrebbe interpretare il ruolo dell’integerrimo, “ma prendo spesso dei caffè con gli scontenti di vari partiti, ultimamente. Soprattutto grillini”. E ci sarà, ovviamente, una certa dose di millanteria, in questi racconti.

 

Ma sta di fatto che Alessandro Amitrano, grillino campano d’indole governista, non nega che “da quando è nato il nuovo esecutivo, i deputati leghisti ci approcciano ogni giorno”. E così il cesenate Gianni Tonelli, ex segretario del Sindacato autonomo di polizia poi reclutato nella pattuglia leghista di Montecitorio, giovedì ha intercettato in Transatlantico Lucia Borgonzoni, futura candidata alle regionali emiliane, e le ha proposto l’impensabile: “Perché non li imbarchiamo noi, i grillini? Alcuni di loro ci starebbero, e coi loro voti potremmo ribaltare gli equilibri”. Al che la senatrice s’è indispettita (“Non ci penso proprio, in politica le somme algebriche non funzionano”), ma l’idea ha preso lo stesso a circolare tra gli eletti del Carroccio.

 

In fondo, pur essendo quelli che se la passano peggio, i grillini restano il corpaccione molle con cui bisogna fare i conti, in Parlamento. E se non si riesce a disarticolarli, bisogna provare a irretirli. Che è poi la ragione per cui Dario Franceschini s’è incaponito nell’idea dell’alleanza a tutti i costi, del nuovo centrosinistra demogrillino che anche ieri, sulle chat interne dei gueriniani di Base Riformista, è stata messa non poco in discussione. E quel che non è riuscito a dire Lorenzo Guerini, lo ha chiarito a modo suo Luigi Di Maio, ribadendo che di alleanze organiche non se ne parla neppure, che già in vista delle prossime regionali di Calabria ed Emilia si tornerà quasi sicuramente al vecchio isolamento del M5s.

 

“Noi del resto siamo trasversali, il Pd sbaglia a volerci ingabbiare in un’alleanza”, spiega il sottosegretario grillino all’Economia Alessio Villarosa. “Semmai, dovremmo prima capire chi siamo, qual è la nostra identità”, incalza il deputato ligure Marco Rizzone, che sbuffa l’insofferenza per la mancanza di metodo. “Di Maio apre, in tutta fretta e senza discussione, all’alleanza col Pd in Umbria dove siamo sicuri di perdere. Quindi perdiamo, e allora, sull’onda emotiva della sconfitta, dice che di alleanze non se ne faranno più neppure in Emilia, dove potremmo vincere insieme al Pd. Il problema non è tattico, è strategico: la gente s’è stancata della nostra ambiguità. Prima diciamo che vogliamo i negozi chiusi la domenica, e scontentiamo la grande distribuzione; poi insabbiamo tutto, e scontentiamo pure i piccoli commercianti. Abbiamo una capacità straordinaria di farci detestare da tutti”. Come che sia, la certezza sta in un punto: che di accompagnare il folle volo zingarettiano verso il maggioritario, Di Maio non ne ha alcuna voglia. “Forse, ora che glielo ha detto chiaro e tondo anche il loro alleato, i dirigenti del Pd lo capiranno”, se la ride la renziana Silvia Fregolent. A due passi da lei, il grillino Amitrano conferma: “Per noi ha senso restare nell’orbita del centrosinistra ma con una nostra autonomia. E per questo serve il proporzionale”. Che in fondo resta, per Salvini, il vero spauracchio da scongiurare. “Altrimenti come si spiega questo suo fare improvvisamente amichevole nei confronti di noi di Forza Italia – si chiede, appunto Bendinelli – se non come il tentativo di accaparrarsi i voti dei nostri parlamentari per provare a imporre una legge maggioritaria?”.