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Perché la promessa ecologica rossogialla è di un verde sbiadito

Alberto Brambilla

La svolta starebbe in due miliardi di tasse (di dubbia utilità). Dove sono gli investimenti? Il popolo di Greta prenda nota

Roma. Al prossimo venerdì di sciopero climatico i giovani italiani avranno validi motivi per protestare contro il governo Pd-M5s che aveva promesso una “svolta verde” da cominciare con la legge di Bilancio. La promessa è delusa. Per “promuovere una maggiore sostenibilità ambientale” il Documento programmatico di bilancio, approvato nella notte di mercoledì dal Consiglio dei ministri che contiene le disposizioni per la manovra, non ambisce a realizzare una grande strategia di rilancio dell’economia con investimenti infrastrutturali o energetici tali da avvicinarsi agli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti e di raddoppio della potenza elettrica da energia rinnovabile come previsto dal piano energia e clima presentato alla Commissione europea dal precedente governo. La grande strategia per il “Green new deal”, per ora, è di colore verde pallido. Interventi vestiti di verde servono per recuperare maggiori risorse per oltre 2 miliardi di euro con interventi fiscali che in parte potrebbero creare disagi alle imprese e in parte rischiano di non essere così utili all’ambiente.

 

Per tentare di spingere al rinnovo di veicoli pesanti per il trasporto di merci e di passeggeri, ovvero camion e autobus, a partire dal 2021 le categorie di veicoli euro 3 ed euro 4 non beneficeranno di una riduzione dell’accisa sul gasolio. Al netto del fatto che viene penalizzata una vettura a motore diesel, propulsione penalizzata da una lunga campagna di demonizzazione, che è più efficiente del benzina, l’obiettivo sembra quello di spingere il settore dell’autotrasporto a rinnovare il parco circolante: è sensato dal momento che circa il 50 per cento dei mezzi in circolazione appartiene a quelle categorie, tuttavia per la stessa ragione i proprietari dei mezzi o le aziende di trasporto si troveranno presto in difficoltà: se non cambieranno i loro veicoli avranno un aggravio per viaggiare e lavorare (gli autotrasportatori marchigiani stimano 7-8 mila euro di maggiori costi l’anno per camion). Si introduce una tassa per prodotti inquinanti impiegati per la produzione di energia che, se non meglio specificata, riguarda potenzialmente tutto quello che non è produzione di energia rinnovabile, dal carbone al metano. C’è poi l’introduzione di una imposta sugli imballaggi e contenitori di plastica, a partire dal giugno dell’anno prossimo, con un aggravio di 1 euro per ogni chilo.

 

Secondo la federazione gomma e plastica di Confindustria, che riunisce centinaia di imprese del settore, la misura è punitiva perché rappresenta una doppia imposizione. La produzione di imballaggi di plastica verrebbe tassata mentre le imprese pagano già il contributo ambientale per la raccolta e il riciclo degli imballaggi. Inoltre, aggiunge l’associazione, non ci sono precise finalità ambientali perché il “tributo colpirebbe anche i prodotti di imballaggio contenenti materiale riciclato”.

 

Qual è dunque l’intenzione? Spingere verso la produzione e l’uso di imballaggi di carta? Oppure spingere per un ritorno all’uso del vetro? Il vetro può essere utilizzato più volte, ma anche la plastica può essere propriamente riciclata sia in modo meccanico (per un singolo riuso) sia in modo chimico (per un riuso infinito). Inoltre, il processo necessario per creare una bottiglia di plastica usa molta meno energia di quello che porta alla produzione di una bottiglia in vetro, ovvero produrre plastica ha un impatto inferiore sulle emissioni in atmosfera rispetto al vetro. Il problema generale dell’impostazione della “svolta verde” è che la svolta non c’è perché i 2 miliardi ricavati con misure fiscali non vengono impiegati per investimenti infrastrutturali utili a migliorare la qualità dell’aria e della vita, ovvero per raggiungere l’obiettivo dichiarato dal governo della “sostenibilità ambientale e sociale”, come ad esempio il miglioramento del trasporto pubblico su ferro, attrezzare le autostrade con sistemi di catenarie per fare viaggiare i camion con alimentazione elettrica e altro.

 

Ieri l’Italia con il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri si è unita a quaranta paesi nella coalizione dei ministri finanziari per la lotta al cambiamento climatico. Lo scopo della coalizione è ambientale e pragmatico perché sostiene che la “lotta al cambiamento climatico” può generare da qui al 2030 investimenti per 26 trilioni di dollari e creare 65 milioni di nuovi posti di lavoro. Senza investimenti, tuttavia, la svolta è più che altro retorica. E questo sarebbe una buona ragione per convincere i giovani che seguono l’esempio di Greta a tornare in piazza.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.